Secondo i risultati di una ricerca dell’Università di Oxford i ragazzini inglesi di 11 anni sono migliori dei coetanei in matematica, sono più educati a scuola e socievoli.
Inoltre, in futuro, guadagneranno il 4,3% in più. Tutto questo è merito di una buona scuola per l’infanzia.
Nuovi asili: cosa cambia
In Italia, come previsto dalla legge 107, si sta preparando una nuova proposta per ridisegnare il panorama degli asili italiani. Gli esperti che ci stanno lavorando hanno un punto ben chiaro: in quegli anni i piccini introiettano tutti gli stimoli possibili per realizzarsi nella vita.
“L’educazione precoce dà le migliori chance ai bambini per iniziare nella vita. Questo, in particolare, vale per i bambini che provengono da famiglie disagiate o i figli di immigrati” dichiara l’esperta Sylva aggiungendo che la fascia da 0-3 anni dovrebbe essere gestita dalla stessa fascia 3-6 anni, perché anche i neonati imparano.
Secondo diversi studi su questo argomento, compiuti da menti illustri come quella del premio Nobel per l’economia James Heckman, la frequenza di scuole “dignitose” porta a una maggiore inclusione sociale, a migliori successi scolastici.
Un’indagine portata avanti all’interno del progetto Care (Curriculum and quality Analysis and impact review of European Early Childhood education and care), ha fornito suggerimenti molto precisi riguardanti le esigenze dei bambini molto piccoli: le conoscenze non devono essere mai ai primi posti.
“Significa che concordano nel ritenere che i bambini non debbano imparare a contare precocemente o a scrivere, ma ad affrontare i problemi, a sviluppare competenze. È un approccio molto diffuso in Norvegia, Finlandia, Svezia, e sempre più anche in Italia: valutiamo meno i risultati, misuriamo meno, ma sviluppiamo più capacità. E infatti i bambini che hanno frequentato asili dignitosi nella fascia 0-6 sono anche quelli che vanno meglio nelle prove Invalsi”.
Per esempio si possono lanciare quesiti ai bambini e lasciarli dibattere, filmandoli. Si scoprirà così che a volte i piccini, con le loro idee, si avvicinano alla fisica o altre materie importanti senza saperlo.
Il gruppo chiamato a definire il nuovo strumento di autovalutazione delle scuole dell’infanzia ha stabilito che i bimbi da 3 a 6 anni non devono essere sottoposti a prove standardizzate, come gli Invalsi.
Questa possibilità è stata esclusa per evitare che si creino spiacevoli pregiudizi. “L’autovalutazione verterà piuttosto su domande che riguardano il processo, sul curricolo specifico per l’infanzia, sull’iter complessivo del bambino” dichiara Anna Badioli al Corriere.it
La stessa Badioli ribadisce che i servizi rimarranno così come sono ma a cambiare sarà il coordinamento.
- La gestione delle liste di attesa
- l’organizzazione degli aspetti pratici
- la formazione continua in servizio degli educatori e degli insegnanti
dovrebbero essere affidati a dei poli educativi.
Il personale dovrebbe avere come riferimento facilitatori educativi che dovrebbero calarsi nella realtà territoriale e dare indicazioni secondo i contesti.
Il leit motiv della crescita dei bimbi da 0 a 6 anni dovrebbe essere “apprendere l’apprendere”. “Più che i contenuti, imparare l’approccio per relazionarsi ai problemi” dichiara la Badioli.
Inoltre, un altro aspetto da tener in grande considerazione è l’uniformità degli standard:
- spazi
- orari
- numero di insegnanti per bambini
sono diversi da regione a regione ma si punta a farli diventare uniformi.
“Da 0 a sei anni, vanno bene 7 bambini ad educatore, tra i 2 e i 3 1 ogni 8, ma tra i 3 e i 6 bisogna scendere assolutamente: inaccettabile che un solo insegnante tenga 25 bambini e per di più senza compresenza”.
Nice Terzi, presidente del gruppo nidi-infanzia italiani sostiene che sia assolutamente necessario generalizzare l’offerta. Finora gli investimenti sono stati utilizzati in modo molto diverso da Nord a Sud (se volete potete dare un’occhiata al report DisOrdiniamo).
L’obiettivo è di raggiungere il 33% stabilito dall’Europa e poi andare avanti. “Anche la scuola dell’infanzia, deve passare dal 95% al 100%. E per cominciare a sperimentare, bisogna lanciare progetti pilota su tutto il territorio: poi, entro qualche anno, finalmente vedremo i frutti” dichiara la Terzi.
Unimamme e voi cosa ne pensate di questa idea?