Siamo abituati a pensare che nei primi mesi di vita di un neonato, siamo liberi di poterci esprimere come vogliamo, convinti che il tenero pargoletto non comprenda ciò che diciamo. Pensiamo che sia isolato in un mondo di suoni e rumori di cui non comprende in modo chiaro né l’origine né tanto meno il significato. “Per adesso puoi ancora dire così, ma tra un po’ dovrai cambiare linguaggio” ripetono le mamme ai papà quando sono furiosi, pensando a quando il piccolo sarà più grande e inizierà a ripetere, o per lo meno a provarci, le parole che sente dire hai genitori.
Tutti ricorderanno la scena del film “Mi presenti i tuoi?” dove, convinto che il piccolo Jack non capisca né tanto meno possa ripetere ciò che ascolta, Ben Stiller si fa scappare innocentemente, per gioco, la parola “S…nzo”. Naturalmente diventerà la prima parola del piccolo Jack, suscitando le ire del nonno, nonché suocero del personaggio di Stiller. Una scena comica, ma che rappresenta bene l’opinione dei grandi nei confronti dei neonati. Una ricerca, però, ha dimostrato che dovremmo stare più attenti con il linguaggio che usiamo, già nei primi mesi.
Una ricerca della SISSA (Scuola Internazionale Superiore Studi Avanzati) di Trieste, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera di Udine, ha infatti dimostrato che i neonati hanno una attività celebrale molto simile a quella di un adulto, febbrile e intensa, riuscendo a cogliere informazioni e prestando attenzione a ogni singola parola. Badate bene che non stiamo parlando di bambini di 1 o 2 mesi, ma già nei primissimi giorni di vita. In particolare sono attenti alla parte più importante delle parole, quella che rimane più impressa anche agli adulti: gli estremi.
Se andiamo ad analizzare molte lingue dell’umanità, noteremo che una particolare importanza viene rivestita dagli estremi di ogni parola. Infatti, all’inizio o alla fine delle parole sono contenute le informazioni riguardanti genere, numero, declinazioni di verbi e sostantivi. Proprio a queste parti così importanti prestano attenzione i nostri infanti.
La Dott.ssa Ana Flo, ricercatrice che ha collaborato alla studio, spiega che “È un fenomeno pervasivo e con il nostro studio dimostriamo che è presente già alla nascita. Qui alla SISSA erano già stati fatti degli esperimenti con bambini in età prelinguistica, di 7-8 mesi, ma noi siamo andati ancora oltre e abbiamo lavorato con neonati di solo 2-3 giorni di vita”.
Fermiamoci un attimo: se stiamo parlando di neonati con appena due giorni di vita, come è possibile comprendere cosa stanno pensando?
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