Il video che segue racconta la vita di una ragazza di 19 anni, AnnaRose e dimostra come le persone con la Sindrome di Down siano prima di tutto persone. AnnaRose è infatti una studentessa che lavora part-time ed è anche una sportiva: gioca infatti a pallacanestro e nuota.
Ma ascoltate le sue parole (e attivate i sottotitoli in italiano se occorre):
In occasione di questa giornata, abbiamo avuto la fortuna di intervistare Martina Fuga, mamma di 3 figli di cui una, Emma, con la Sindrome di Down. Martina, oltre ad essere una splendida mamma, tiene anche un blog, “Imprevisti“, che è un importante punto di riferimento per molte famiglie, e del quale vi avevamo già parlato in occasione delle “10 cose da non dire a una mamma con un figlio con la Sindrome di Down“.
Non solo, Martina fa anche parte di diverse associazioni ed è membro del Comitato Direttivo del Coordown, le cui campagne sociali sono state viste e apprezzate da milioni di persone: ricordiamo tra le altre “Cara futura mamma” e “La proposta speciale“.
Cio che ci ha detto Martina è veramente importante, e siamo felici di poterlo condividere con voi:
“Il Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down Onlus nasce nel 2003 e oggi rappresenta in Italia il maggior numero di associazioni che si occupano di tutelare i diritti delle persone con sindrome di Down. E l’organismo ufficiale di confronto con tutte le Istituzioni. Insieme a tutte le associazioni sparse per l’Italia rappresentiamo circa le circa 38.000 persone con la sindrome di Down e le loro famiglie.
Il CoorDown promuove, ogni seconda domenica di ottobre, la consueta Giornata Nazionale delle persone con sindrome di Down e, il 21 marzo di ogni anno, il World Down Syndrome Day. Sono due giornate all’anno in cui concentriamo i nostri sforzi cercando di diffondere la cultura della diversità. Ogni anno per la giornata mondiale realizziamo una campagna di comunicazione sociale allo scopo di sensibilizzare chi non vive direttamente la nostra esperienza e fargli conoscere chi sono le persone con sindrome di Down e che vita possono avere.
In questi 10 anni ho imparato che vivere con la sindrome di Down o con un figlio con la sindrome di Down è una vita possibile, certo difficile, ma le persone con sindrome di Down possono avere una vita piena e degna di essere vissuta. Possono studiare, possono fare sport, possono avere relazioni sociali, possono lavorare, possono innamorarsi, alcune si sposano e alcune vanno a vivere da soli.”
Andando nel personale, come è cambiata la tua vita dopo la nascita di Emma?
“Diventare mamma ti cambia sempre. Devi fare spazio dentro di te, perché non c’è più posto solo per te e per chi sei e quello che vuoi, dal momento in cui diventi mamma c’è un posto fisso occupato da tuo figlio o dai tuoi figli. E’ una cosa spontanea e bellissima, ma quello spazio va trovato.
Quando nasce un figlio con la sindrome di Down non cambia molto, le sensazioni solo le stesse, la priorità è sempre il figlio, solo che tutto viene amplificato alla massima potenza: preoccupazioni, impegni, pensieri, gioie e dolori. Certo all’inizio l’impatto è forte, ma poi noi genitori impariamo a guardare il bambino e non la sindrome, che è quello che poi nella vita chiediamo di fare a tutti.”
Tua figlia che tipologia di Sindrome ha?
“Emma ha la sindrome di Down, che è una condizione genetica non una malattia (per questo ci teniamo che non si usi il termine “affetto da…”) detta anche Trisomia 21, caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più – tre invece di due – nella coppia cromosomica n. 21 all’interno delle cellule.
Nel mio libro “Lo zaino di Emma” (Mondadori) la spiego cosi’: è come se Emma avesse uno zainetto sulle spalle che le fa fare più fatica a fare le cose, nelle imprese più difficili lo zainetto è più pesante, ma non c’è davvero nulla di precluso in partenza.”
Cosa ti auguri per tua figlia e in generale per le persone con sindrome di Down nel futuro? Cosa ti spaventa di più? E’ l’Italia un paese adatto? Quali le carenze principali?
“Più che augurarlo a me, lo auguro a lei… Le auguro di realizzare se stessa e di essere felice. Che è quello che auguro anche agli altri miei figli.
Davvero credo che non ci sia nulla di precluso a priori per mia figlia, non voglio sminuire quello che la sindrome di Down è, ma la sindrome di Down comporta soprattutto fatica, tempo e pazienza… Mia figlia tutti i giorni fa il doppio, il triplo della fatica dei suoi fratelli, e peraltro si lamenta la metà, ma conduce la vita che conducono gli altri. La disabilità intellettiva è un ostacolo non c’è dubbio, ma lei è una ragazzina consapevole dei suoi limiti, ma che ha dei desideri e dei progetti per la sua vita, forse più semplici, ma li ha.
Quello che le auguro è di poter essere sempre se stessa e realizzare quello che vuole, io starò a guardarla e la sosterrò tutti i giorni della mia vita.
L’Italia è un paese come gli altri, abbiamo buone leggi sull’inclusione ma le risorse spesso mancano e quindi vengono disattese, ma da noi come all’estero quello che va combattuto di più è il pregiudizio delle persone e le basse aspettative nei loro confronti ed è quello che abbiamo cercato di fare con la campagna di comunicazione sociale “How do you see me?””
Quali gli stereotipi e i pregiudizi più comuni e da contrastare?
“Nell’immaginario collettivo la persona con sindrome di Down è una persona malata, bisognosa di molte cure, sempliciotta (diverso da semplice), affettuosa, magari anche appiccicosa, e che passa il tempo a casa con genitori tristi e apprensivi. Non va a scuola e certamente non lavora e non è autonoma. In realtà le cose stanno diversamente e la maggior parte delle persone con sindrome di Down possono invece fare tutte queste cose. In questi 11 anni però ho imparato che il pregiudizio non è volontario è un fatto culturale e quindi sono fiduciosa che questa cosa possa cambiare.
Un mondo che crede che le persone con sindrome di Down non possano andare a scuola con i coetanei, non possano lavorare, non possano amarsi e non siano in grado di pensare, volere, e vivere una vita autonoma è un mondo che non può essere inclusivo. Invertiamo la rotta e facciamo cambiare il punto di vista a chi non conosce ancora le persone con sindrome di Down.
Abbiamo visto sul sito del Coordown che andrai a NY a parlare di inclusione. Vuoi anticiparci qualcosa?
“Da 5 anni alle Nazioni Unite si tiene un convegno in occasione della Giornata Mondiale, arrivano persone da tutto il mondo ed è un’occasione per fare il punto di quello che succede in ogni paese e per condividere riflessioni, esperienze e scoperte. Gli interventi che mi hanno emozionato di più lo scorso anno sono quelli che hanno tenuto adulti con sindrome di Down, le loro storie cambiano le prospettive e rafforzano le nostre speranze e la nostra fiducia.
Io parlerò appunto di cultura, di quanto sia importante indirizzare le nostre energie oltre che sul riconoscimento dei diritti, anche sul cambiamento culturale: solo quando la disabilità sarà percepita come una delle sfaccettature della diversità si potrà davvero fare inclusione, riconoscendo l’unicità di ogni individuo. L’obiettivo è far volgere lo sguardo oltre gli stereotipi, costruire un nuovo immaginario collettivo e promuovere un’alfabetizzazione alla disabilità”.
Cosa vuoi dire alle mamme che aspettano un bimbo con la Sindrome e alle future mamme magari spaventate da un’eventuale prognosi?
“Quello che dico sempre alle neo-mamme è di guardare al loro bambino e non alla sindrome. Che poi è quello che vorrei urlare al mondo, che purtroppo si ferma ai caratteri somatici comuni e riconoscibili e inconsciamente attiva il pregiudizio sull’immagine stereotipata che ha della persona con sindrome di Down.
I primi mesi, direi anche anni, è più che mai un bambino come tutti gli altri, le conquiste quotidiane sono più lente, ma non c’è davvero nulla che non sarà in grado di fare. Mano a mano che cresce gli ostacoli aumentano, entra in gioco la consapevolezza, entra in contatto con il mondo esterno e non saremo più in grado di proteggerlo in ogni istante della sua vita, ma quello che è certo è che la loro vita è una vita possibile e piena di significato.
Se provassimo solo a guardarli come si vedono loro, se potessimo solo trasformare il nostro sguardo e dar loro una possibilità…”
E questo è ciò che vuole fare il video che vi abbiamo mostrato.
Unimamme, noi speriamo che questo cambiamento culturale avvenga al più presto.
Vi abbiamo parlato recentemente di Nicole Orlando , pluricampionessa italiana e oggi star a “Ballando con le stelle” , ma tanti sono i nomi che potremmo fare, ballerini, modelle, attori. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare, il nostro modo di vedere gli altri, solo così potremmo definirci una “società giusta”.
E voi che ne pensate?
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