Altra pratica molto utile è quella di assistere la neo mamma, e qualche volta il papà, a relazionarsi con quella piccola creatura che ancora non si comprende bene. Come tenerlo in braccio, come lavarlo, come cambiarlo e sopratutto, come allattarlo. Perché l’allattamento al seno è importante, e questo nessuno lo mette in dubbio. Alcune volte però, esagerano un po’ troppo nel comunicarlo.
Marta, come raccontato precedentemente, era dovuta ricorrere al cesareo. Nonostante questo, era raggiante e meravigliosa, contentissima di essere diventata mamma. Io cercavo di passare più tempo possibile con loro, accudendoli e sopperendo a ogni loro bisogno, al massimo delle mie possibilità. C’era però un piccolo tarlo che rodeva la mente sia mia, ma soprattutto di Marta: l’allattamento. Sua sorella e sua cognata, rispettivamente 2 e 3 figli, non avevano allattato al seno i loro piccoli, per un motivo o per un altro. Marta invece ci teneva particolarmente a questa modalità di interazione speciale che poteva avere con Giacomo. Ascoltava quindi con attenzione tutti i consigli che le infermiere e le ostetriche le davano: l’allattamento è importante, il bambino sviluppa degli anticorpi tramite questa azione, si crea un legame speciale tra madre e figlio, non c’è nulla di salutare come il latte materno e così via.
Marta però iniziò fin da subito ad avere un problema: necessitava del paracapezzolo, un po’ per il dolore un po’ perché Giacomo non riusciva a prenderlo bene. Già lì ci furono i primi problemi perché per le infermiere era un gesto assolutamente sconsiderato e da evitare, senza tenere in considerazione che era l’unico modo in cui Giacomo riusciva a mangiare dal seno. Comunque abbiamo proseguito per questa strada, tra le critiche delle infermiere che osservavano malvolentieri l’utilizzo di quel piccolo oggettino di plastica.
Tornati a casa proseguimmo a mettere in pratica ciò che avevamo imparato in quei pochi giorni all’ospedale, tra bagnetti e cambio pannolini, e la vita veniva scandita da sonnellini e poppate, sempre con il paracapezzolo, fino a quando le cose non iniziarono a farsi complicate. La notte doveva alzarsi per allattare, mentre io potevo solo portarle Giacomo in braccio, impossibilitato a prendere il suo posto. Una volta addirittura, dopo aver osservato l’inizio dell’operazione, andai in bagno. Una volta tornato, li trovai entrambi addormentati, ancora attaccati l’uno all’altra. Le ore di sonno perse, nonostante fossero poche, iniziarono a farsi sentire e il nervosismo saliva, facendo avvicinare uno spettro inquietante e spaventoso.
Io amo tantissimo mia moglie e non posso vivere senza di lei, ma ha un enorme difetto: è testarda e vuole sempre fare come dice lei. Iniziò quindi a smettere di riposare insieme a Giacomo quando faceva i suoi riposini, perché aveva sempre qualcosa da fare. Io provavo a mettermi a sua disposizione, ma non riuscivo a convincerla. Sicuramente avrei potuto essere più incisivo, costringerla a riposarsi, ma purtroppo non lo feci.
La stanchezza per lei si accumulava, oltre allo stress di dover gestire una nuova vita. Se a questo aggiungiamo che Giacomo mangiava, e mangia ancora tantissimo, il risultato fu che Marta smise di avere latte a disposizione per lui. Non fu una cosa istantanea, piano piano Giacomo aveva sempre più fame e lei ne dava sempre meno, fino a quando non smettemmo del tutto. Completamente esaurito. Fu un brutto colpo per lei. Il suo desiderio era quello di proseguire quel rapporto intimo e privato che è l’allattamento. Le parole delle infermiere che con severità ricordavano l’importanza dell’allattamento risuonavano nelle nostre menti. Forse fu proprio in quel momento che lo spettro arrivò nelle nostre vite e fece un pezzo di strada al nostro fianco. La depressione arrivò. Ma questa è un’altra storia.
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