L’igiene è una delle componenti più importanti della vita di ogni uomo. Porta con sé salute e benessere, difendendoci da malattie e problematiche varie. Il concetto diventa ancora più importante se si parla della pulizia e dell’igiene dei neonati, con bagnetti e cambio pannolini. Pratiche delicate che fortunatamente insegnano ai neogenitori durante i giorni successivi al parto, in ospedale. Le sapienti mani delle esperte infermiere fanno sembrare tutto tremendamente semplice, con i loro movimenti fluidi e sicuri. Per un neo papà, emozionato e in evidente stato confusionale per l’arrivo travolgente di un figlio, però, non tutto è così semplice.
Quando lo spiegarono a Marta, io purtroppo non ero presente. Non potei assistere a questo importante momento formativo. Ciò voleva dire riascoltare la spiegazione direttamente da mia moglie. La prima volta che cambiai un pannolino, eravamo già a casa.
“Andrea, Giacomo ha fatto la cacca!”
“Lo cambiamo?”
Tralasciando l’inutilità della mia domanda, in quanto ovviamente doveva essere cambiato, la mia frase portava con sé l’inutile tentativo di rimandare l’inevitabile momento di dover imparare a cambiarlo. Non perché volessi sottrarmi ai miei doveri di buon padre e marito, ma più che altro perché sapevo che la prima lezione sarebbe stata immediatamente pratica, senza un corso teorico introduttivo. Il mio uso del plurale cercava di essere un modo carino per significare “Andiamo insieme e lo cambi tu, mentre io guardo e capisco?” Così non fu.
“È quasi ora che impari!”
“Giacomo ha solo 7 giorni, ho tempo per cambiare il pannolino” pensai dentro di me. “Hai ragione” fu la sconsolata risposta che uscì dalla mia bocca.
Tenendo Giacomo come una bomba inesplosa, atteggiamento che continuo avere ancora oggi, lo portai in bagno dove c’era il fasciatoio. “Non ti preoccupare, vedrai che è facile” mi incoraggiava Marta da dietro le spalle, non facendomi vedere il sorriso divertito che si allargava sulla sua faccia.
Posai delicatamente Giacomo sul fasciatoio e lo guardai, sperando mi potesse aiutare in qualche modo. Niente. Mi fissava con aria di attesa. Iniziò il mio calvario.
“Bene, adesso spoglialo, slaccia il pannolino e sollevagli il culetto”.
Gli tolsi il body fino alla vita, staccai i due adesivi che chiudevano il pannolino e afferrai mio figlio per le caviglie.
“Non così!” urlò Marta agitata “Gli fai male! Una mano dietro i reni e tiralo su”.
“Iniziamo malissimo” pensai dentro di me. Mi sorpresi comunque di non trovare un cattivo odore nel regalo che Giacomo aveva preparato per noi. “Aspetta tra qualche mese che iniziamo con le pappette” profetizzò saggiamente mia moglie.
Dopo essere riuscito ad abbassare il pannolino su sé stesso, riportai la schiena di Giacomo in posizione verticale. La lezione pratica ora continuava con la parte più difficile: il lavaggio.
“Bene, adesso prendilo da sotto le braccia e fai così” mi spiegò Marta, accompagnando la frase con un movimento semicircolare delle mani. Io la guardai allibito. “Non ho capito” risposi impaurito e triste. Marta mi guardava divertito mentre Giacomo mi osservava in un modo che percepii come disperato. Sembrava quasi dirmi “Papà imbranato!”.
Con un sorriso ironico, mia moglie ripeté più lentamente il gesto aggiungendo “Lo fai ruotare e lo appoggi sull’avambraccio”.
Con un sospiro di sconforto afferrai il piccolo in aria e mi avvicinai al lavandino dove l’acqua già scorreva da tempo per diventare calda. Arrivato nei pressi del rubinetto, provai a seguire le indicazioni che mi erano state fornite, scoprendo che tra la teoria e la pratica c’è molto differenza. Mio figlio, infatti, girava con un ingranaggio rotto, a causa di un padre che tentava di replicare il movimento che gli era stato illustrato ben due volte. Marta, vedendo la scena, scoppiò in una risata divertita.
“Invece di ridere, potresti darmi una mano!” chiesi disperato. Pazientemente guidò allora le mie mani per replicare il movimento e portare Giacomo nella giusta posizione. Da lì in poi fu semplice. Sopratutto perché Marta aveva capito che se avesse continuato a darmi spiegazioni senza aiutarmi, Giacomo avrebbe fatto in tempo a liberarsi di nuovo. Mi aiutò a lavarlo e a riportarlo sul fasciatoio, per poi mettergli il pannolino pulito e rivestirlo. Terminata l’operazione, presi in braccio Giacomo e gli chiesi scusa per tutto il tempo che avevo impiegato, tirando un lungo sospiro liberatorio.
Ora l’atto del cambio pannolino è diventata una pratica veloce e automatica. In fondo ero bloccato più dalla paura di far male a quella piccola creatura che non aveva colpe dei timori del padre. Oggi, in qualche modo, è divenuto un momento speciale tra me e lui, in cui scherziamo e ci divertiamo. Perché il plurale che avevo usato all’inizio per chiedere se era il caso di cambiarlo, lo uso ancora ma non con la stessa intenzione. Non come invito a un supporto pratico ma come pluralia maiestatis. Ora quando Giacomo si sporca…
Io: “Lo cambiamo?”
Lei: “Si. Vai?”
La mia risposta, naturalmente, non può che essere affermativa. Perché è un momento per me e lui e Marta lo sa. Ma non per tutti gli uomini. Guardate questo video.
Per voi unigenitori, come è stato il primo cambio pannolino? Zuckerberg impiega solamente 20 secondi. Il vostro record qual’é?