L’ospedale di al-Quds, che veniva gestito da Medici senza Frontiere “era il centro di riferimento principale per la pediatria, con 8 medici e 28 infermieri, C’erano pronto soccorso, ambulatorio, terapia intensiva e sala operatoria. Ora è tutto distrutto”.
Dietro all’esortazione ad andarsene di amici e famigliari, questo medico che credeva profondamente nel valore e nell’importanza della sua professione a favore dei bambini, rispondeva: “cosa farebbero senza di me tutti questi bambini? Chi si occuperebbe di loro?”.
Da gennaio infatti il conflitto si era ulteriormente inasprito con i bombardamenti dei caccia russi e i barili bomba gettati dal regime di Damasco.
“Mohammed è caduto da eroe. Non è propaganda. Non è retorica. Affatto. Il mio amico Mohammed è morto per aiutare gli altri. Noi gli avevamo detto che era giunto il momento di partire. Da sempre la soldataglia di Assad e gli agenti al suo servizio attaccano medici, infermieri, farmacisti. Tanti medici hanno lasciato Aleppo” racconta al telefono con il Corriere della Sera Ahmed Leila, medico legato ai ribelli che coordina gli aiuti sanitari con Nazioni Unite, Croce Rossa, organizzazioni umanitarie e internazionali.
La tattica studiata dal regime ha fatto scappare molti medici, alcuni continuano ad esercitare in piccoli villaggi, altri sono fuggiti in Turchia, i più “fortunati” hanno trovato rifugio in Europa.
Ormai sono rimasti attivi solo una cinquantina, tra cui gli altri due fratelli del coraggiosa Mohammed: Baki, chirurgo di 39 anni e Hussam di 35, un oculista che dirige uno dei pochi ospedali ancora funzionanti.
Entrambi hanno inviato mogli e figli in Turchia, ma Mohammed non voleva abbandonare i suoi piccoli pazienti dicendo che, essendo single, poteva rischiare di più.
Con il suo amico Ashmed Leila discuteva dellle necessità sanitarie e delle riserve di medicinali. “Gli ospedali si erano organizzati a riempire i magazzini nella prospettiva della ripresa dei combattimenti e il peggioramento dell’assedio, come in effetti ora sta avvenendo. Mohammed non credeva che la tregua avrebbe tenuto. E continuava a dirmi che in particolare i bambini piccoli soffrono per la mancanza di pulizia, le carenze d’acqua potabile, i cibi avariati. Chiedeva disinfettanti, agenti filtranti. È morto temendo che la situazione potesse peggiorare“ ha spiegato il dottor Ahmed Leila.
Nel bombardamento in cui ha perso la vita il pediatra sale ad almeno 30 morti il tragico bilancio dei morti.
Su Twitter Medici senza Frontiere ha condannato l’accaduto lanciando un ennesimo, disperato appello “Gli ospedali non sono bersagli #notatarget”.
Unimamme e voi cosa ne pensate dell’esempio di quest’uomo?
Unimamme noi vi lasciamo con il filmato del bombardamento su un altro ospedale dove c’erano dei bambini appena nati.
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