Bimba di 3 mesi e il bisnonno sopravvissuto all’Olocausto: per non dimenticare

Care unimamme, oggi vogliamo condividere con voi un’immagine che racchiude diverse generazioni e una storia triste e bella insieme.

L’immagine della piccola Harli, all’età di 3 mesi, è diventata letteralmente virale sul web, venendo condivisa ben 9 mila volte. dopo la che una mamma l’ha condivisa su fb.

Il motivo risiede tutto nella storia nipote di un sopravvissuto ai campi di concentramentodietro questo toccante scatto che vede la bimba aggrapparsi al braccio del bisnonno: un sopravvissuto ai campi di concentramento.

Nonno e pronipote ricordano l’Olocausto

Max Durst, di cui si vede il tatuaggio del numero sul braccio, ora ha 89 anni ed è l’ultimo sopravvissuto di tutta la sua famiglia. Lui è stato internato quando era adolescente trascorrendo diversi anni nei campi di concentramento, compreso Auschwitz, fino a quando è stato liberato a Ebensee.

Sua moglie Anna Durst, oggi 86 enne, ha trascorso gli anni del Nazismo a nascondersi, spesso in precarie condizioni.

“Quando Harli aveva 3 mesi io e mia mamma siamo volate in Florida per far visita ai miei nonni. Noi trovavamo incredibile che, dopo ciò che aveva vissuto, fossero vivi e stessero abbastanza bene da vedere la loro prima pronipote, quindi abbiamo voluto celebrare quell’avvenimento. Mia mamma ha trovato un fotografo locale che facesse foto di famiglia e dopo averlo convinto un po’ mio nonno ha acconsentito allo scatto di alcune foto con Harli contro il suo braccio tatuato. Questa è la mia preferita. La tengo senza cornice e in un cassetto, perché non sono sicura dove o come mostrarla. Oggi è il primo giorno in cui qualcuno fuori dalla mia famiglia la vede”.

Grazie a un po’ di fortuna e al loro coraggio i nonni di Jessica sono sopravvissuti e ora possono vedere quanto è diventata grande la loro famiglia: ci sono 3 figli, 5 nipoti e 3 pronipoti, tra cui la piccola Hali.

“Questo segno del diavolo irradia anche la vera essenza della sopravvivenza” ha commentato nonno Max.

La mamma di Hali invece dichiara: “è bellissima, è dolorosa, sono la mia storia e il mio futuro inestricabilmente legati”.

famigliaDa quella foto sono trascorsi 5 anni e, nel frattempo, Jessica ha avuto altri due bambini: Skylar di 3 e Carter di 1.

“Sebbene abbiano rallentato, fisicamente, le loro menti sono ancora acute, amano ancora giocare a bridge e, certamente, trascorrere del tempo con la famiglia e gli amici. Sono molto eccitati all’idea di danzare e celebrare il matrimonio di mia sorella tra due settimane”.

Jessica però non era sicura di come avrebbero reagito i suoi nonni al fatto che l’immagine fosse diventata virale, perché parlavano raramente dell’Olocausto.

“Sono rimasti molto commossi dalla reazione delle persone ed erano semplicemente increduli sul fatto che la foto potesse evocare risposte positive da un gran numero di persone. Il fatto che tutti i meravigliosi commenti e i like provenissero da persone di religioni ed etnie diverse lo ha reso ancora più toccante per loro.

“Ho dato ai miei nonni una lezione veloce su come usare Facebook e così hanno potuto vedere tutti i commenti da soli. Mia nonna aveva le lacrime agli occhi, lei e il nonno hanno letto tutto finché non riuscivano più a stare svegli“.

In origine la foto avrebbe dovuto commemorare il Giorno della Memoria dell’Olocausto.  “Ogni anno ci sono sempre meno sopravvissuti a raccontare le loro storie” ha commentato Jessica.

Lei naturalmente spera che questa potente immagine aiuti il mondo a non dimenticare i 6 milioni di vittime.

Essere la nipote di sopravvissuti implica il fardello della responsabilità di ricordare l’Olocausto. Io e mio marito speriamo di trovare un modo significativo di commemorare quel giorno insieme, come una famiglia, quando i nostri bambini saranno un po’ più grandi”.

Unimamme e voi cosa ne pensate di questa immagine? Quali sentimenti vi evoca?

Noi vi lasciamo con la testimonianza di un’altra sopravvissuta, questa volta italiana Tatiana Bucci, internata ad Auschwitz con la sorella, quando entrambe erano bambine.

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