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Alimentazione dei bambini

Preferenze di gusto nei bambini: perché lo zucchero piace più dei broccoli?

Published by
Michele

E’ molto comune l’immagine del conflitto che si crea a tavola tra genitori e figli quando arriva il momento di mangiare le verdure, senza contare che spesso anche gli adulti hanno loro stessi difficoltà ad ingerire determinati cibi.

Da dove deriva questa avversione per determinati sapori e la preferenza di altri? La scienza ha provato a dare delle risposte, riuscendo in parte a spiegare i meccanismi di queste preferenze di gusto.

Preferenze di gusto: la scienza le spiega

Se ogni essere umano stilasse una lista di alimenti che gli piacciono e non gli piacciono ne verrebbe fuori un elenco molto personale, proprio come le impronte digitali.

Gli esseri umani sono nati con la capacità di rilevare cinque tipi di gusto

  • dolce
  • amaro
  • salato
  • acido 
  • umami (saporito)

Nel linguaggio comune vengono usati indifferentemente i termini gusto e sapore, quest’ultimo è dato dal gusto con altre sensazioni percepite nel cavo orale come la consistenza e l’odore.

La sensibilità individuale però è determinata in gran parte dalla genetica. Il modo di percepire un sapore è complesso. Si potrebbe essere nati con una sensibilità superiore alla media per il sale, ma la predilezione per il salato potrebbe essere dovuta anche a un mix tra esperienza passata e idee culturali sul cibo.

Secondo il Professore Michael Tordoff, psicologo presso il Monell Chemical Senses Center di Philadelphia esistono tre canali principali attraverso i quali si sviluppa simpatia o antipatia per determinati sapori:

  • apprendimento delle sostanze nutritive
  • apprendimento gusto-aroma
  • apprendimento sociale

Con l’apprendimento delle sostanze nutritive si impara a formare associazioni positive tra il sapore di un determinato alimento e ciò che il cibo fa per il nostro corpo. Se un bambino consuma regolarmente degli snack al gusto di ciliegia assocerà ogni volta al sapore di ciliegia l’esplosione di energia data dagli zuccheri: “Si associa il sapore gustato nella bocca con le conseguenze post-ingestive “.

Quello che Tordoff chiama apprendimento gusto-aroma riguarda invece l’associazione di un determinato sapore con quello che già ci piace. In uno studio del 2007, per esempio, è emerso che degli studenti gradivano maggiormente dei crackers consumandoli con una crema di formaggio grassa rispetto a una crema di formaggio magra. Prendendo invece l’esempio del caffè, se si assaggia la bevanda per la prima volta sarà più appetibile se si associa a latte e zucchero piuttosto che bevuta assoluta.

Infine c’è l’apprendimento sociale che deriva dall’imitazione di quello che mangiano i nostri genitori o i nostri amici. Questo può essere un processo di apprendimento permanente, ma inizia presto: le nostre preferenze di gusto cominciano a prendere forma in utero e continuare la formazione non appena siamo nati infatti i cibi che una madre mangia durante e subito dopo la gravidanza arrivano al bambino, prima attraverso il liquido amniotico e poi con il latte materno. In uno studio del 2001, gli scienziati del Monell Center hanno scoperto che i bambini che erano stati precedentemente esposti al succo di carota attraverso le loro madri, in seguito apprezzavano maggiormente cereali al gusto di carota. Uno studio del 1994 pubblicato su “Pediatrics” ha scoperto che i neonati allattati al seno hanno più facilità ad accettare nuovi alimenti rispetto a quelli nutriti con formula, forse perché hanno incontrato una più ampia varietà di sapori.

Gary Beauchamp, direttore emerito del Monell e co-autore dello studio del 2001 sostiene: “Prima che il bambino nasca apprende che un cibo è appropriato perché lo mangia la madre”.  Nel documento, lui e i suoi colleghi hanno sostenuto che questo apprendimento precoce può anche rafforzare le differenze tra cucine regionali, come alcune preferenze vengono trasmesse da una generazione all’altra.

Beauchamp afferma:

“Quelle esposizioni probabilmente hanno conseguenze a lungo termine, si dice spesso che una delle ultime cose che si cambiano quando si entra in contatto con una nuova cultura sono il cibo e le preferenze di sapore date dall’esperienza personale”.

Detto questo, però, le nostre preferenze non sono del tutto immutabili. In realtà, esse tendono a cambiare in determinati modi prevedibili con l’avanzare dell’età. Prendiamo lo zucchero, per esempio. Il piacere dato dalla dolcezza è innato, ma si tende ad apprezzarlo più da bambini che da adulti. Per le verdure avviene il contrario, si apprezzano maggiormente in età adulta.

Come si possono spiegare queste traiettorie?

Si può dire che sono spesso biologiche, nonché culturali. Gli scienziati ritengono che una delle ragioni per l’amore dello zucchero dei bambini, per esempio, può essere che cercano più calorie per alimentare i loro corpi in crescita, dando loro un vantaggio quando il cibo scarseggia.

Per quanto riguarda le verdure, c’è una ragione per cui i bambini le evitano. Evolutivamente parlando in realtà tutti non vorremmo verdure: siamo predisposti per l’avversione al gusto amaro, caratteristica che i nostri antenati avevano sviluppato per proteggersi dall’avvelenamento accidentale.

Ormai abbiamo capito quali verdure possono ucciderci e quali no, ma l’avversione rimane, anche se alcune sostanze amare sono fondamentali per la nostra alimentazione.

Come possiamo allora sviluppare una tolleranza nei confronti del sapore amaro, riuscendo così a gustare e a godere dei benefici di determinate verdure?

La risposta è abbastanza semplice: mangiandole.

La capacità di mangiare e gustare le verdure deriva per la maggior parte dall’apprendimento sociale: da bambini si odiano le verdure, ma osservando gli adulti mangiarle si apprende a farlo di conseguenza.

D’altra parte mangiare un alimento molte volte lo renderà più attraente. L’esposizione alla fine nega la nostra avversione, ma perché?

Non c’è ancora una risposta chiara a questo quesito. Secondo Beauchamp siamo simili a specie animali come i ratti in questo:

“Siamo diffidenti verso cose nuove, perché potrebbero essere pericolose, quindi ne prendiamo un piccolo morso e vediamo che succede”.

Un’esposizione continua all’assaggio aiuta a liberarci da questa diffidenza, ma non sempre. In alcuni casi l’esposizione ripetuta potrebbe non essere sufficiente a negare un’avversione profondamente radicata, che può nascere quando associamo un determinato gusto a un’esperienza negativa. Questo tipo di meccanismo prende il nome di “avversione al gusto condizionata”.

Tardoff afferma:

“Questa avversione per un gusto può rimanere con noi tutta la vita. Ad esempio  una brutta notte passata bevendo margaritas, può farci rifiutare la tequila per sempre”.

A volte da dove provenga questa avversione è un mistero, ma potrebbe essere collegata a qualche esperienza di cui magari non ci ricordiamo. Secondo Beauchamp anche la più piccola delle esperienze può modellare i nostri gusti, creando in noi delle antipatie senza che ce ne rendiamo conto, spesso questi momenti fugaci possono ignorare la cultura, l’evoluzione e tutto il resto.

Questo potrebbe essere un motivo per cui le preferenze di gusto sono ancora una cosa difficile da comprendere per gli scienziati.

Beauchamp afferma:

“Ho due figli e non ho mai capito perché una cosa che piaceva ad uno non piaceva all’altro e io dovrei essere un professionista”.

Nonostante rimangano ancora dei misteri irrisolti su queste preferenze di gusto, abbiamo visto come l’apprendimento e i modelli offerti dall’ambiente circostante giochino un ruolo importante, quindi sarebbe bene che i genitori seguano per primi degli stili di alimentazione sani in modo da educare i propri figli a preferenze di gusto corrette.

Voi unimamme che esperienze avete riguardo i gusti dei vostri figli? Pensate siano influenzate da voi?

Michele

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