Ognuno di noi ha un nome che lo accompagna nel corso degli anni. Regalatoci al momento della nascita dai nostri genitori, scelto sulla base dei motivi più disparati, ci identifica come individui e ci caratterizza. Ogni nome ha un significato preciso che, secondo alcuni, stabilisce anche psicologia, carattere, stile di vita e atteggiamento. Può essere un nome importante, particolare, scomodo per alcuni, anonimo per altri, sostituito da soprannomi particolari, ma il nostro nome rimane una costante della nostra vita, un elemento che ci appartiene, fa parte di noi esattamente come un braccio o una gamba. Anche se lo cambiamo, il nome che ci viene dato alla nascita rimarrà comunque una parte importante della nostra vita, un neo indelebile. E quando ci chiamano con un nome sbagliato, o lo pronunciano male, qualcosa dentro di noi si rompe. In qualunque caso, il nostro nome è e rimarrà uno soltanto. Fino a quando non nasce un figlio.
Il nome che abbiamo scelto per Giacomo, ha una storia importante. È stato il frutto di lunghe discussioni per poi essere scelto quasi per caso. Sapere di aver donato un nome con una storia a nostro figlio, è una bellissima sensazione. Mi rende orgoglioso e ogni giorno che lo guardo, penso sempre più che sia il nome perfetto per lui. Mai, però, avrei pensato che lui sarebbe riuscito a cambiare il mio.
Era la mattina del mio compleanno e stavo dormendo beatamente nel letto. Io e Marta siamo soliti prendere Giacomo dal suo lettino quando si sveglia alle 6.30, per portarlo a letto con noi e godere ancora di 30-40 minuti di riposo. Sarebbe più giusto dire che Marta è solita prenderlo, perché io ho il sonno pesante e soprattutto la mattina faccio fatica a svegliarmi. Ma questa è un’altra storia, per cui sarò sempre grato a mia moglie. Comunque, praticamente tutte le mattine io mi sveglio con Giacomo che compie varie azioni su di me: mi picchietta con il dito dentro l’occhio, mi calpesta la faccia con i piedi o si arrampica sulla mia testa per arrivare alla testiera del letto, tutto sotto lo sguardo vigile di Marta che, sveglia, si diverte a vedermi essere utilizzato come giocattolo da Giacomo. La mattina del mio compleanno però, è successo qualcosa di diverso: percepivo del movimento intorno a me. Parole sconnesse come “…compleanno…”, “…fai gli auguri…”, “…forza sveglia il papà!”. Poi, un istante prima di aprire completamente gli occhi, mi è parso di sentire delle sillabe strane: “…pà!”. Marta rideva felice insieme a Giacomo mentre io uscivo completamente dal sonno. Mia moglie continuava a ripetermi: “Hai sentito? Ti ha chiamato papà!”. Dentro di me ero molto contento. Il giorno del mio compleanno, mio figlio mi aveva chiamato papà per la prima volta. Un regalo meraviglioso e anche se in parte me lo ero perso, Marta era riuscita a registrarlo e così potevo sentirlo tutte le volte che volevo. Due sillabe ripetute due volte, la prima interrogativa, come a dire “Ci sei?”, la seconda dolcissima, proprio per farmi svegliare. Lo stesso modo in cui chiamo Giacomo quando sono costretto a svegliarlo. Bellissimo.
Dopo quella volta, Giacomo non mi aveva più chiamato papà. Per lo meno, non quando io ero presente. Giustamente, quando ero con lui, non c’era bisogno di chiamarmi. Ero già lì! Mi mancava un po’ quell’inflessione che aveva avuto la mattina del mio compleanno. Anche perché quell’appellativo era ancora lontano, non lo avevo sentito chiaramente e per questo, non mi rappresentava del tutto. Ogni tanto lo ripeteva quando giocava al citofono, chiamando il papà che andava a prenderlo all’asilo, non collegando forse il fatto che la persona che suonava era la stessa che ora era al suo fianco.
Poi l’altro giorno siamo andati a passare un pomeriggio al ristorante Ai pioppi. Un posto meraviglioso con un grande parco giochi per grandi e piccini, quasi totalmente ecologico le cui strutture sono realizzate con materiali di recupero. Io e alcuni amici siamo saliti sul pendolo, un mini ottovolante che ti porta in alto, all’interno di una grande U in ferro, per poi sganciarti e farti precipitare verso il basso. La spinta data dalla forza di gravità, ti permette di risalire dall’altra parte della struttura fino all’apice, per poi farti precipitare nuovamente, e così via, fino a che la spinta non si esaurisce, in un movimento identico a quello di un pendolo.
Giacomo con Marta, ovviamente, erano rimasti in basso, ad osservare la giostra. Non so se è stato l’agghiacciante rumore metallico o il fatto di vedermi sfrecciare di fronte a lui a 100 km/h, fatto sta che, quando sono sceso dalla giostra, era felicissimo di vedermi e ha voluto a tutti i costi venire in braccio con me. Appena l’ho preso in braccio, quelle due sillabe sono uscite dalla sua bocca con un amore travolgente. Una, due, tre, quattro volte. Sembrava non volersi fermare più. E ogni volta che le ripeteva, il mio cuore si riempiva sempre più di gioia, mentre un sorriso emozionato e commosso si allargava sul mio viso. Non sapevo cosa dire e semplicemente lo fissavo mentre mi parlava e mi colpiva sulla testa per giocare, felice. Quel giorno, in mezzo a decine di persone, il mio nome è cambiato per sempre. Ho capito di non essere più Andrea. Mio figlio aveva scelto un nome diverso per me, che non avrei mai più potuto cambiare, carico di responsabilità ma anche di possibilità. Da quel giorno il mio nome è diventato papà.
E per voi unigenitori, come è stata la prima volta che i vostri figli vi hanno chiamato?