Dopotutto l’ha tenuto dentro di lei per nove mesi, ascoltandone i bisogni, percependone la crescita. È normale che dopo la nascita, questo legame così naturale non sia paragonabile a nessun altro. Un rapporto che il papà osserva sempre con invidia, cercando di recuperare terreno nel campo dell’affettività. In realtà non esiste nessuna prova scientifica secondo la quale una madre ha una relazione più stretta con i figlio rispetto al padre.
Tutto il materiale intorno a questo argomento, dalla tradizione agli studi, dalla concezione comune alle relazioni sociali, ci dicono che la madre ha un rapporto più stretto con il bambino. La concezione dell’istinto materno, la gravidanza, gli ormoni, anche il congedo da lavoro per dedicarsi ai bambini (chiamato non a caso “maternità” in Italia, mentre negli altri paesi, più evoluti, semplicemente “congedo parentale”), spingono l’opinione comune verso questa direzione. Anche a livello scientifico esistono numerose teorie che indirizzano verso una propensione femminile nei legami.
Partendo dal presupposto che il rapporto con il figlio inizia già nel feto, si da molta importanza alle percezioni della madre, primo tipo di relazione per il bambino. Un legame che viene considerato fondamentale anche per stabilire che tipo di relazione verrà istituita dopo la nascita. Tutte le ricerche su questa relazione però, sono sempre state condotte esclusivamente sulle madri, quindi non possono dare risposte certe.
Oggi, infatti, si sta sviluppando una teoria scientifica secondo la quale anche il padre instaura una relazione prenatale con il bambino. Rimanendo nel filone precedente, infatti, verrebbero svalutati i legami tra genitori affidatari e figli adottivi.
Le condizioni che stabiliscono i livelli di questo ormone, però, sono differenti tra madre e padre. Per le mamme, infatti, sono gli sguardi e i contatti delicati e affettuosi a determinare l’innalzamento dell’ossitocina. Per i papà, invece, sono condizioni più attive, come il giocare insieme, facendo girare il figlio intorno a lui o attraverso lo scambio di oggetti, ad esempio.
Stiamo parlando, però, di ricerche allo stato iniziale, poco approfondite in quanto, per esempio, non sono mai stati confrontati i due genitori, ma solamente presi in relazione con il figlio. Allo stesso tempo, non è stato valutato come nella maggior parte dei casi, è la madre a godere del congedo parentale per restare con il bambino, mentre i papà “casalinghi” sono ancora una piccolissima parte.
I care giver principali, quindi, nella maggior parte dei casi, sono le mamme, rendendo impossibile un confronto tra elementi a pari condizione. Di conseguenza, non è possibile determinare se i papà che interagiscono con i propri figli in modo differente dalle madri, siano spinti da motivi biologici, culturali o semplicemente perché hanno preso un ruolo diverso all’interno del nucleo familiare.
Ma quanto sono bravi i papà a comprendere le esigenze dei propri figli?
È stato rilevato, inoltre, che mentre ci sono solamente alcune sottili differenze tra la comprensione di un padre e quella di una madre, dei pensieri e dei bisogni di un figlio, il modo in cui rispondono a queste esigenze è molto differente, oltre che essere determinante la reazione del padre per lo sviluppo futuro del figlio.
Una ricerca della Oxford University, infatti, stabilisce che la relazione tra padre e figlio nei primi mesi ha delle forti influenze sul presenza o meno di problemi comportamentali. Sono state prese in esame 192 famiglie, filmate in situazioni di relazione madre/figlio e padre/figlio, sia in casa che fuori. Successivamente sono stati condotti esami psicologici sui genitori e osservate le modalità di relazione dei bambini nei confronti della società, per vedere se si dimostravano irritabili, disobbedienti, aggressivi o portati a colpire o mordere.
Il risultato è stato che ci si trovava in presenza di bambini con modalità di relazione negative, quando i relativi padri avevano difficoltà di relazione con loro, non essendo in grado di creare legami, poco presenti o molto distratti. Lo studio ha rilevato che quando il padre non è legato al proprio figlio di tre mesi, questo rischia di sviluppare problemi comportamentali raggiunto l’anno di età.
Non stiamo parlando di quei casi in cui vi sono maltrattamenti o violenze familiari. Per creare danni ai propri figli è sufficiente un’assenza di legame, un disinteresse nella relazione. Secondo un’indagine della Princeton University, 4 bambini su 10 non hanno un forte legame con i loro genitori, mentre uno studio della Rochester University dimostra che quasi un terzo dei neogenitori non sa come relazionarsi con i propri figli, aiutandoli a crescere e imparando ad andare d’accordo con il prossimo. Il problema più grave, però, sempre secondo la Princeton University, è che il 40% dei bambini vive nell’indifferenza dei propri genitori, una relazione che si tradurrà in aggressività e iperattività una volta diventati adulti. Di questi:
In conclusione, il campo di ricerca sulle relazioni tra madre, padre e figli è ancora vasto e inesplorato. Ciò che noi genitori possiamo fare è cercare di dare il massimo ogni giorno, in ogni istante e in ogni situazione, perché anche una carezza non data può fare la differenza. Può sembrare un discorso angosciante, un peso grande da portare sulle spalle. Se fate un respiro profondo, però, vi renderete conto che è molto più semplice di quanto possa sembrare: è sufficiente ricordarsi ogni giorno quanto amiamo i nostri figli. Un amore che meritano di vedere concretizzarsi in parole e fatti, in piccoli gesti quotidiani che, se mettiamo da parte i pensieri su lavoro, casa, società e ci fermiamo a guardarli negli occhi un istante, verranno semplicemente naturali.
E voi unigenitori, eravate a conoscenza di quanto fosse importante la relazione con il papà sin dall’inizio?
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