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Le mamme hanno un rapporto “privilegiato” con i figli? Uno studio risponde

Published by
Michele

La relazione tra genitori e figli è fondamentale sia per la formazione dei bambini che la crescita degli adulti. Parlando, giocando, relazionandosi, vivendo con i propri figli, si formano dei legami che resteranno per tutta l’esistenza. Solitamente, però, si crede che la madre sia portata da avere un legame più stretto con il proprio figlio, rispetto al padre.

Il legame di un bambino con i genitori: uno studio

Dopotutto l’ha tenuto dentro di lei per nove mesi, ascoltandone i bisogni, percependone la crescita. È normale che dopo la nascita, questo legame così naturale non sia paragonabile a nessun altro. Un rapporto che il papà osserva sempre con invidia, cercando di recuperare terreno nel campo dell’affettività. In realtà non esiste nessuna prova scientifica secondo la quale una madre ha una relazione più stretta con i figlio rispetto al padre.

Tutto il materiale intorno a questo argomento, dalla tradizione agli studi, dalla concezione comune alle relazioni sociali, ci dicono che la madre ha un rapporto più stretto con il bambino. La concezione dell’istinto materno, la gravidanza, gli ormoni, anche il congedo da lavoro per dedicarsi ai bambini (chiamato non a caso “maternità” in Italia, mentre negli altri paesi, più evoluti, semplicemente “congedo parentale”), spingono l’opinione comune verso questa direzione. Anche a livello scientifico esistono numerose teorie che indirizzano verso una propensione femminile nei legami.

Partendo dal presupposto che il rapporto con il figlio inizia già nel feto, si da molta importanza alle percezioni della madre, primo tipo di relazione per il bambino. Un legame che viene considerato fondamentale anche per stabilire che tipo di relazione verrà istituita dopo la nascita. Tutte le ricerche su questa relazione però, sono sempre state condotte esclusivamente sulle madri, quindi non possono dare risposte certe.

Oggi, infatti, si sta sviluppando una teoria scientifica secondo la quale anche il padre instaura una relazione prenatale con il bambino. Rimanendo nel filone precedente, infatti, verrebbero svalutati i legami tra genitori affidatari e figli adottivi.

La formazione del legame, naturalmente, acquista una rilevanza maggiore dopo la nascita. Rimanendo sempre in ambito scientifico, sono stati osservati i livelli di ossitocina, comunemente ritenuto l’ormone del legame, rilasciati dal corpo. Nella donna, grandi quantitativi di questo ormone vengono rilasciati al momento della nascita e durante l’allattamento al seno, proprio per favorire l’attaccamento tra madre e figlio. Pochi sanno, però, che anche i padri rilasciano ossitocina quando si relazionano con i figli.

Le condizioni che stabiliscono i livelli di questo ormone, però, sono differenti tra madre e padre. Per le mamme, infatti, sono gli sguardi e i contatti delicati e affettuosi a determinare l’innalzamento dell’ossitocina. Per i papà, invece, sono condizioni più attive, come il giocare insieme, facendo girare il figlio intorno a lui o attraverso lo scambio di oggetti, ad esempio.

Stiamo parlando, però, di ricerche allo stato iniziale, poco approfondite in quanto, per esempio, non sono mai stati confrontati i due genitori, ma solamente presi in relazione con il figlio. Allo stesso tempo, non è stato valutato come nella maggior parte dei casi, è la madre a godere del congedo parentale per restare con il bambino, mentre i papà “casalinghi” sono ancora una piccolissima parte.

I care giver principali, quindi, nella maggior parte dei casi, sono le mamme, rendendo impossibile un confronto tra elementi a pari condizione. Di conseguenza, non è possibile determinare se i papà che interagiscono con i propri figli in modo differente dalle madri, siano spinti da motivi biologici, culturali o semplicemente perché hanno preso un ruolo diverso all’interno del nucleo familiare.

Ma quanto sono bravi i papà a comprendere le esigenze dei propri figli?

 

Una ricerca ha voluto mettere a confronto chi tra le mamme e i papà erano maggiormente in grado di riconoscere il pianto del proprio bambino da quello di altri. È stato stabilito che questa capacità era strettamente legata al tempo passato con il figlio, piuttosto che a differenze di genere. Allo stesso tempo, però sono stati rilevati degli innalzamenti di ossitocina nel padre all’udire il pianto del figlio e che questo livello influenzava anche il modo in cui rispondevano a queste grida.

È stato rilevato, inoltre, che mentre ci sono solamente alcune sottili differenze tra la comprensione di un padre e quella di una madre, dei pensieri e dei bisogni di un figlio, il modo in cui rispondono a queste esigenze è molto differente, oltre che essere determinante la reazione del padre per lo sviluppo futuro del figlio.

Una ricerca della Oxford University, infatti, stabilisce che la relazione tra padre e figlio nei primi mesi ha delle forti influenze sul presenza o meno di problemi comportamentali. Sono state prese in esame 192 famiglie, filmate in situazioni di relazione madre/figlio e padre/figlio, sia in casa che fuori. Successivamente sono stati condotti esami psicologici sui genitori e osservate le modalità di relazione dei bambini nei confronti della società, per vedere se si dimostravano irritabili, disobbedienti, aggressivi o portati a colpire o mordere.

Il risultato è stato che ci si trovava in presenza di bambini con modalità di relazione negative, quando i relativi padri avevano difficoltà di relazione con loro, non essendo in grado di creare legami, poco presenti o molto distratti. Lo studio ha rilevato che quando il padre non è legato al proprio figlio di tre mesi, questo rischia di sviluppare problemi comportamentali raggiunto l’anno di età.

Non esistono quindi prove concrete che il legame tra madre e figlio sia più solido e forte di quello con il padre. Esistono però numerosi studi che dimostrano come la presenza, l’interesse e la relazione dei genitori con il bambino siano fondamentali. Una relazione che deve essere di qualità, vissuta giorno per giorno, così da non causare problemi relazionali al figlio.

Non stiamo parlando di quei casi in cui vi sono maltrattamenti o violenze familiari. Per creare danni ai propri figli è sufficiente un’assenza di legame, un disinteresse nella relazione. Secondo un’indagine della Princeton University, 4 bambini su 10 non hanno un forte legame con i loro genitori, mentre uno studio della Rochester University dimostra che quasi un terzo dei neogenitori non sa come relazionarsi con i propri figli, aiutandoli a crescere e imparando ad andare d’accordo con il prossimo. Il problema più grave, però, sempre secondo la Princeton University, è che il 40% dei bambini vive nell’indifferenza dei propri genitori, una relazione che si tradurrà in aggressività e iperattività una volta diventati adulti. Di questi:

  • il 25% non ha legami di alcun tipo con i genitori perché non rispondono ai loro bisogni,
  • mentre il 15% li vede in modo angosciante, portandoli ad allontanarsi non appena sarà possibile.

In conclusione, il campo di ricerca sulle relazioni tra madre, padre e figli è ancora vasto e inesplorato. Ciò che noi genitori possiamo fare è cercare di dare il massimo ogni giorno, in ogni istante e in ogni situazione, perché anche una carezza non data può fare la differenza. Può sembrare un discorso angosciante, un peso grande da portare sulle spalle. Se fate un respiro profondo, però, vi renderete conto che è molto più semplice di quanto possa sembrare: è sufficiente ricordarsi ogni giorno quanto amiamo i nostri figli. Un amore che meritano di vedere concretizzarsi in parole e fatti, in piccoli gesti quotidiani che, se mettiamo da parte i pensieri su lavoro, casa, società e ci fermiamo a guardarli negli occhi un istante, verranno semplicemente naturali.

E voi unigenitori, eravate a conoscenza di quanto fosse importante la relazione con il papà sin dall’inizio?

Michele

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