Quando Sheila Bhatti ha raggiunto le 20 settimane di gravidanza, ha scoperto un’incredibile verità: le sue acqua si erano rotte alla 16° settimana portandola dritta verso il parto.
“All’inizio era solo una piccola perdita, ma qualche giorno dopo mi sono svegliata scoprendo che il fondo del mio pigiama era completamente bagnato” ha raccontato la donna.
Il medico però l’ha rassicurata dicendole che si era bagnata a causa di una fuoriuscita vaginale, qualcosa che accade spesso durante la gravidanza.
Così non le hanno effettuato ulteriori esami che avrebbero mostrato che le si erano rotte le acque, la cui lenta perdita metteva gravemente a rischio la salute del figlio nel suo grembo.
Quando però si è recata in un altro ospedale l’ostetrica si è subito mostrata molto preoccupata. “Si sentiva battere il cuore ma non riusciva a vedere il bimbo. Mi hanno detto che le mie acque si erano rotte e all’inizio mi sono sentita sollevata perché voleva dire che non avevo perso il mio piccolo”.
Poco dopo però la donna ha appreso che la sua situazione era molto grave.
I medici le hanno chiesto se avesse avvertito delle perdite e lei ha parlato di ciò che le era successo. “Mi hanno spiegato che quelle erano le mie acque e che si trattava di una rottura prematura pre termine della membrana“.
I medici le hanno quindi suggerito di porre fine alla gravidanza, perché il piccolo non sarebbe sopravvissuto.
Non c’era quasi più liquido amniotico e non si poteva nemmeno effettuare un’ecografia per sapere se fosse un maschio o una femmina.
Dal momento che si sentiva il battito Sheila si è rifiutata di abortire. “Avevo già iniziato ad amare il mio bambino e non riuscivo ad abortire. Quando il piccolo ha continuato a resistere nonostante gli fosse stato dato non più dell’1% di possibilità di sopravvivere io e mio marito abbiamo concordato che dove c’era vita c’era speranza”.
I medici però continuavano a pensare che il piccolo non ce l’avrebbe fatta.
“Mi si spezzava il cuore, continuavo a dir loro che il mio bimbo era ancora vivo. Mi hanno guardato con pietà dicendomi “è molto improbabile che sopravviva”.
“Non ero ingenua, sapevo che il mio piccolo avrebbe potuto avere delle disabilità e altri problemi, ma sapevo che qualunque difficoltà si dovesse affrontare io ci sarei stata“.
A 24 settimane le sono state fatte iniezioni di steroidi per aiutare il piccolo a sviluppare i polmoni.
“Quella è stata la prima volta in cui a mio figlio è stato offerto aiuto per sopravvivere piuttosto che aiuto per morire”.
Alla 27° settimana la donna è stata rimandata a casa perché non c’era nessun segno di travaglio, ma di lì a poco è tornata indietro a causa delle contrazioni.
A 28 settimane e 4 giorni è entrata ufficialmente in travaglio, purtroppo la sua cervice non era aperta a causa di un’infezione.
Dopo un parto cesareo ha dato alla luce il suo bimbo che pesava circa 900 gr. “è accaduto tutto molto in fretta, sapevo che era un maschio ma non se era sopravvissuto. L’abbiamo chiamato Ryaan che significa saggio, perché aveva sconfitto tutti i pronostici avversi sulla sua sopravvivenza“.
Il piccino aveva bisogno di assistenza per respirare ma il suo cuore era forte. “Sono rimasta sconvolta quando l’ho visto per la prima volta. Era piccolo come un uccellino, la sua pelle era trasparente ed era ricoperto di cavi. Ero comunque felice di essere diventata mamma e ho trascorso i giorni seguenti vicino all’incubatrice, sperando che diventasse più forte”.
Dopo una settimana le infermiere le hanno consentito di tenerlo in braccio “era quasi senza peso, come un piccolo frammento di vita”.
Il piccolo aveva bisogno di cure, trasfusioni e della rimozione di un’ernia.
“Ho cominciato a pregare per lui, a parlare e cantare per lui, volevo essere positiva”.
Alla fine la mamma di questo bimbo si è rivolta a un gruppo di sostegno per genitori di bimbi prematuri.” Ho incontrato mamme di bimbi prematuri che erano sopravvissuti e questo mi ha dato la speranza che anche il mio potesse farcela anche se non avevo sentito di nessun bimbo sopravvissuto dopo essere nato così presto”.
Rayyan però ha continuato a migliorare, a diventare più forte e a 5 mesi gli è stato permesso di tornare a casa.
“Quello è stato il giorno più bello della mia vita, ma anche il più pauroso. Aveva già affrontato tanto nella sua breve vita e se avesse avuto una ricaduta?”.
“Per noi è stato fantastico averlo a casa con noi. Ora che posso spingerlo sul passeggino al parco mi sento una vera mamma. Non sappiamo quale sarà il suo futuro ma siamo felici che sia con noi. Tutta la sua vita ha provato che gli altri si sbagliavano e spero che la mia storia dia speranza ad altre mamme”.
Unimamme e voi avete mai sentito di altre storie simili? Pensate anche voi che condividere la propria sofferenza sia un modo valido per affrontarla e andare avanti?
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