Nessuno, però, riesce a superare a livello d’importanza, i primi passi. Un evento che viene celebrato e osannato per diversi giorni a seguire. Non ci si rende conto, però, che da quel momento, tutto cambia. Non è soltanto un traguardo raggiunto ma un vero e proprio capitolo che si apre. Perché se prima rotolava semplicemente su se stesso o gattonava nel salone, adesso inizia a girare libero da solo, deciso a scoprire il mondo.
Quando Giacomo ha iniziato a muovere i primi passi, ho avuto l’ennesima prova che la vita non è come nei film. Non si alza miracolosamente sulle sue gambe e cammina per la stanza. Il procedimento è molto più timido, graduale e lento.
Ci mettevamo io e Marta l’uno di fronte all’altra, un po’ distanziati. Uno dei due prendeva Giacomo e l’altro lo chiamava. Lo vedevamo fare qualche passo malfermo per poi gettarsi verso di noi, anche se ancora distanti, fiducioso che lo avremmo preso. La gioia di tutti e tre era grandissima e l’orgoglio cresceva dentro di me. Poi da un paio di passi siamo passati a cinque, distanze sempre più ampie mentre lui iniziava ad afferrarsi ai mobili di casa, fino a quando, qualche settimana dopo, non ha iniziato a camminare da solo. La gioia ha lasciato il posto all’ansia: e se cade male? E se sbatte la testa da qualche parte. Tutti gli oggetti fragili e pericolosi sono stati rialzati, lontani dalla sua presa e dalla voglia di scoprire ed esplorare. Adesso ci chiudiamo dentro casa e spostiamo il divano di fronte alle scale interne quando siamo in salone con lui, per evitare che apra la porta d’entrata e si avventuri da solo al piano superiore.
Questa settimana, poi, abbiamo fatto un passo in avanti, insieme. Marta, vedendo la mia ossessione nel seguirlo, mi ha fermato per un braccio dicendomi: “Lascialo andare”. Insensibile all’esposizione delle mie paure e timori, mi ha costretto osservarlo da lontano, mentre si allontanava sempre di più. Naturalmente ci trovavamo in un vialetto chiuso, stretto, dove il passaggio era consentito solamente ai pedoni. Quel giorno, però, ho capito come il mio ruolo di padre si evolve insieme alla crescita di Giacomo. Perché a un certo punto, quando oramai aveva già fatto un bel pezzo di strada, si è girato verso di me, sorridente e felice, e ha urlato: “Papà!”. Mi stava aspettando invitandomi a seguirlo.
Quel giorno ho imparato due lezioni importantissime. La prima, fondamentale, è che devo dar fiducia a Giacomo, alle sue forze e al suo amore per noi genitori. Ci aspetta, nonostante abbia molte più forze di noi. Ha bisogno di noi, anche se inizia ad andare sempre più veloce e lontano. La seconda è che comunque devo essere al suo fianco. Magari senza farmi notare, senza essere una presenza opprimente e limitante durante la sua scoperta del mondo, ma devo esserci. Ci saranno dei momenti in cui vorrà essere solo, mettersi alla prova e altri in cui vorrà avermi accanto per scoprire e comprendere tutte le bellezze del mondo. Come padre, il mio compito è proprio quello di guidarlo in questa scoperta, ma non come insegnante tuttologo, che si limita a spiegare cosa è possibile o meno fare. Come un compagno di viaggio, riscoprendo a mia volta il mondo, dando a Giacomo la possibilità di sperimentarlo in prima persona. Quel bambino di poco più di un anno che da lontano mi chiamava, mi ha regalato la possibilità di esplorare nuovamente il mondo intorno a noi, una realtà che iniziavo a dare per scontata.
E per voi unigenitori, come è stata la prima volta dei vostri bambini?
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