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“Quello che le donne non dicono”: finalmente una ragazza rompe il silenzio

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Redazione Universo Mamma

Care unimamme, ci sono argomenti dei quali non è facile parlare. Si tratta di veri e propri tabù, e non solo in Italia ma in tutto il mondo.

Abbiamo parlato più volte di aborto spontaneo, prendendo spunto dall’outing di alcune donne e anche di uomini. Ricorderete la storia della mamma che ha conservato i ricordi dei suoi 11 figli che non sono mai nati, o l’appello di Zuckemberg che in occasione della nascita della primogenita ha raccontato che lei e la moglie avevano avuto 3 aborti spontanei precedentemente?

Questa volta a parlarne è una ragazza italiana, e la sua riflessione ci ha così toccato che abbiamo scelto di condividerla con voi.

Quello che le donne non dicono in caso di aborto spontaneo

Sara Piconi è una ragazza di che ha deciso di rompere il silenzio e raccontarsi. Sara è una ragazza che dopo aver vissuto un’esperienza forte e dolorosa come quella di perdere un figlio tanto cercato, ha capito che se avesse saputo di più che questa era un eventualità comune, la avrebbe affrontata diversamente.

In caso contrario, quando cioè non si arriva preparate, o informate, si rischia di sentirsi di arrivare a colpevolizzarsi, anche solo inconsciamente, a sentirsi sbagliate, mentre in realtà non è così.

Sara ha quindi iniziato ad informarsi su ciò che le era successo e a confrontarsi con altre donne, venendo così a scoprire che non è così raro come si può pensare, anzi che è piuttosto comune. E quindi partendo da questo, Sara ha deciso di lanciare un appello a tutte le donne: occorre parlarne, per informare, per preparare altre donne all’eventualità, per non soffrire da sole senza capire il motivo per cui è successo a noi.

Ecco quindi il suo post, scritto a un mese dall’aborto spontaneo, che ha successivamente condiviso in un gruppo di mamme accomunate dal fatto di aver perso i loro figli in utero, alla nascita o poco dopo, “Noi mamme speciali“:

“Sono poche le cose di cui mi va di discutere qui, ma dato il momento che sto passando, mi sono resa conto che questo argomento non viene mai intrapreso da nessuno, e penso che se avessi avuto modo di saperne qualcosa di più avrei affrontato la cosa con degli strumenti che invece mi sono dovuta procurare con ulteriore sofferenza “a caldo”, da sola. Si parla di “aborto” sì, di “legge sull’aborto” (sacrosanta) ma nessuno mai parla di aborto spontaneo. Quando questa cosa viene fuori è perché ti è successa, sei stata costretta a dirlo e allora la gente abbassa lo sguardo, prova imbarazzo, non sa cosa rispondere, se non il solito scontato “mi dispiace” e cerca di defilarsi il prima possibile. Alcuni qui mi hanno scritto e si sono confidati con me, mi hanno raccontato le loro esperienze dirette, o comunque vicine, la maggior parte erano persone che non conosco e non frequento nella vita reale. La “vita reale” come se ne esistesse una “irreale”. Di contro tanti “amici reali” invece si sono defilati proprio, ma va bene così, ” meglio tacere e dare l’impressione di essere stupidi, che parlare e dissipare ogni dubbio”, usiamo le citazioni quando è giusto farlo. La verità comunque è che non se ne parla abbastanza, anzi non se ne parla per niente.

Quando sei adolescente ti dicono “Per carità! Usa SEMPRE precauzioni! Oltre alle malattie non vorrai mica rimanere incinta?”. Cresci con la convinzione che i figli non li vuoi (“per ora almeno” ti dici) e quindi stai attenta (anche se per la verità non proprio attentissima) e vai avanti così, finché un giorno superati i 25 gli stessi che ti dicevano “Per carità!” sono lì ad aspettarsi da te una qualche “notizia”, ma a te ancora non passa nemmeno per l’anticamera del cervello, “c’è tempo” è il tuo motto. Poi, boom: di punto in bianco ti ritrovi alla soglia dei trenta a cominciare a sorridere a tutte le mamme con il passeggino, a guardare nelle carrozzine con aria sognante, a commuoverti sapendo la “notizia” di qualche amica, e allora ti senti pronta a desiderare ciò a cui dovevi stare “attenta”. Da quel momento in poi la testa cambia, farai caso a tutti i segnali che manda il tuo corpo e ogni mese starai lì a cercare di capire il “momento propizio” e “darti da fare” per “cogliere l’attimo” giusto. Ecco, nemmeno di questa storia si parla mai. Smettere di prendere precauzioni non significherà rimanere incinte, almeno non subito. Tranne per pochissime eccezioni, il più delle volte ci vogliono dai sei mesi ai due anni (il tempo aumenta anche secondo la fascia d’età) se la coppia non ha nessun “problema” particolare. Io non avevo (non ho) nessun problema particolare tranne “l’urgenza” che è comunque un problema perché influisce e questo pure nessuno te lo dice, comunque ci ho messo (ci abbiamo messo) un po’, tanto che negli ultimi mesi mi ero convinta di aver comunque qualcosa che non andasse, insomma mi ero quasi rassegnata. Poi un bel giorno di marzo è successo. L’emozione di vedere un test positivo la può capire solo una donna che c’è passata, è una “schicchera” di felicità immensa, e prima di prendere coscienza di quanto già cambieranno le tue giornate, i tuoi appuntamenti, le tue abitudini, il tuo corpo, quell’immagine ti tornerà alla mente ogni giorno per “rassicurarti” che sì ce l’hai fatta. Quell’immagine, più tutti i sintomi del caso, ti renderanno schiava dall’auto-percezione: “Oddio sto male, sento dei doloretti sarà normale?” “Oddio oggi sto bene, non sento nulla, sarà normale?” Insomma gravidanza=paranoia (paranoia cioè ANGOSCIA VERA e questa pure influisce, ma nemmeno questo te lo dice nessuno). Parte la giostra: via a tutti gli esami, alle visite, ai controlli e via ad altre paranoie che, finché non si hanno in mano le risposte certe, si ingigantiscono alimentate dalle sempre più frequenti, ossessive, compulsive consultazioni di forum di donne in dolce attesa. Il primo ad accennarti l’eventuale possibilità che qualcosa possa andare storto è il tuo ginecologo, e tu comunque pensi che sia il suo ruolo. Ti parla di dati, statistiche, selezione naturale, la sfera emotiva non è contemplata, ma tu non lo ascolti, non puoi farlo, sei già proiettata alla d.p.p. (Data Presunta Parto). Poi però torni a casa e le tue ansie tornano a farti compagnia. Fai come si fa ormai con tutto oggi, di nuovo cerchi su google, leggi pareri, storie, esperienze di altre persone e la paura non fa altro che alimentare ancora di più la tua paranoia, tanto che ti senti più gravida di questo sentimento che di altro, ma ti tieni tutto dentro perché, come ti hanno consigliato tutti, ” DEVI STARE TRANQUILLA“. Vai avanti così, un po’ sperando, un po’ pregando che non succeda proprio a te, fingendo quella tranquillità che tanto più ti sforzi di avere, tanto più ti sembra essere solo un miraggio.

Il giorno che mi hanno detto quella frase che non dimenticherò mai, prima di sdraiarmi sul lettino, ero abbastanza tranquilla, non avevo avuto dolori ma avevo tutti i sintomi canonici della mia gravidanza di ormai due mesi e mezzo, e perciò la mia paranoia la tenevo a cuccia guardando la mia pancia crescere insieme al seno e mangiando gelato al cioccolato. E invece: “Mi dispiace non c’è più battito.” Ho dovuto leggere e rileggere il referto per convincermi che fosse davvero andata a finire così, e sono voluta andare a fare un’altra eco al pronto soccorso per farmelo dire di nuovo che il mio bambino era morto, prima di riuscire a versare una sola lacrima. Mi sentivo di pietra, bloccata, “ritenuta”. “Ma tu non ti eri accorta di niente? Nessun sintomo, nessuna perdita di sangue?” No, io stavo davvero bene. Si chiama proprio “aborto ritenuto” questo tipo di interruzione spontanea, o “aborto interno”, ed è il peggiore, perché non dà alcun sintomo, semplicemente il cuore del feto (non più embrione nel mio caso specifico da qualche giorno) smette di battere, si arrende, si lascia andare così, e tu non te ne accorgi finché non vai a fare il controllo di routine. Il mondo ti crolla addosso, ma nessuno te lo aveva detto.

“Solo dal 30% al 50% dei concepimenti progredisce oltre al primo trimestre di gravidanza. La stragrande maggioranza di quelli che non progrediscono vengono persi prima che la donna ne sia a conoscenza, e molte gravidanze vengono perse prima che i medici siano in grado di rilevare la presenza dell’embrione. Tra il 15% e il 30% delle gravidanze conosciute termina con un aborto spontaneo clinicamente evidente, a seconda della età e della salute della donna. L’80% di questi aborti spontanei accade nel primo trimestre. La causa più comune di aborto spontaneo durante il primo trimestre sono le anomalie cromosomiche dell’embrione o del feto, che rappresentano almeno il 50% dei casi. Altre cause comprendono la presenza di una malattia vascolare (come il lupus eritematoso), il diabete, problemi ormonali, infezioni e anomalie dell’utero. L’avanzare dell’età materna e la storia di precedenti aborti spontanei nelle donne sono i due fattori principali associati ad un maggior rischio di aborto spontaneo.”

Non voglio mettere ansia o creare allarmismi, non auguro di certo a nessuno di vivere un’esperienza simile, però purtroppo certe cose accadono, e non è una frase fatta, non c’è speranza, preghiera, sforzo verso la fantomatica “tranquillità”, che tenga ed è giusto che se ne parli. Quello che mi è accaduto è accaduto, e purtroppo accadrà, a moltissime altre donne. Si sta male, si sta di merda, si sprofonda ed è un momento difficilissimo da superare, ma poi bisogna farcela in qualche modo, piano, piano, giorno per giorno, anche informandosi.

Le donne hanno il diritto di sapere, e il dovere di essere consapevoli, perché non arrivino a sentirsi sfortunate, sbagliate, inferiori, perché non si logorino l’anima chiedendosi costantemente “Perché proprio a me?”. Non è una consolazione, ma siamo in tante, e per questo dovremmo aiutarci e parlarne molto di più.”

Sara ha racchiuso sapientemente in poche righe un vissuto che è comune a tantissime donne, molte le conosciamo, sono sorelle, amiche, o  noi stesse, ma molte di più sono quelle che non ne parlano, che non si raccontano, perché semplicemente pensano di essere sole e non comprese. Ecco Sara sta dicendo proprio di aprirci, di confrontarci, questo è un modo per superarlo e per aiutare le altre ad affrontarlo e ad ad andare comunque avanti. Grazie Sara, testimonianze come la tua sono necessarie!

Cosa ne pensate unimamme? Concordate con Sara? A voi è successo? Ne avete parlato con qualcuno?

Redazione Universo Mamma

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