E’ di questi giorni la notizia che Tito Boeri, Presidente dell’Inps, abbia proposto il congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni nel primo mese di vita del bambino, con sanzioni per chi non ne usufruisce.
Con questa iniziativa si vorrebbe arginare la disparità tra uomini e donne sul lavoro, perché sono ancora tantissime le neomamme disoccupate.
Ancora troppe inoltre le difficoltà delle professioniste una volta diventate madri: perché poi tutta la responsabilità – culturale e sociale – dei figli deve essere sulle spalle delle madri?
I datori di lavoro non vedono di buon occhio gravidanza e maternità, ma c’è da ricordarsi che i bambini sono di una coppia e che diritti e doveri dovrebbero essere equamente divisi. Questo del congedo di paternità obbligatorio potrebbe essere un buon inizio, anche perché ci sono sempre più giovani padri che vorrebbero occuparsi attivamente dei propri figli.
Sul web circolano infatti diversi post di uomini che hanno scelto di dedicarsi alla famiglia o che si rendono conto che si stanno perdendo tanto dei propri figli: la carriera può anche non essere una priorità e vogliono dedicarsi ad altro. Eppure sembra che assistiamo ad un paradosso: ci lamentiamo che i papà siano pochissimo considerati, che non vengano coinvolti nella gestione dei piccoli, che durante la gravidanza siano quasi un ornamento del processo di cambiamento, ma poi dal punto di vista accademico c’è pochissima attenzione.
Pensiamoci bene: c’è una mole di studi sul ruolo della madre, su come la sua presenza/assenza influenzi la vita di un bambino, su come una madre depressa possa poi influire sulla salute mentale dei figli. Ma non c’è nulla o quasi sui padri.
Per esempio sapevate che esiste – ed ha praticamente le stesse cifre di diffusione, circa l’8%- la depressione post partum paterna? Si chiama depressione perinatale paterna e pur avendo sintomatologia diversa da quella materna, è ugualmente pericolosa. Questa malattia si manifesta con:
Capite anche voi che un padre assente può fare altrettanti danni di una madre assente. Perché il ruolo paterno nella triade famigliare è quello di contenere le paure della donna, di proteggerla e di farle mantenere un senso di realtà visto che per forza di cose il legame è totalizzante. Se viene a mancare, le conseguenze per i figli sono altrettanto gravi: un bambino può sviluppare difficoltà di apprendimento e anche depressione.
E’ infatti dimostrato che la presenza dei padri sin dal principio, migliora lo sviluppo cognitivo dei bambini.
E a questo aggiungiamo: non è che siamo noi donne ad essere per prime maschiliste? Lo sostiene anche lo scrittore Enrico Buonanno, in “Donne maschiliste! Lettera aperta di un mammo” in cui l’uomo racconta gli sguardi perplessi di tante amiche, colleghe della moglie, delle maestre dei suoi figli quando dice che è lui ad occuparsi della famiglia mentre la compagna lavora come medico. “Mi fanno passare per un eroe, ma nessuno dice brava ad una mamma che fa le stesse cose“, dice Buonanno; effettivamente dovremmo smetterla – noi donne per prime – di considerare i papà come dei “vice madri”, dei baby sitter o di dare per scontato che non siano in grado di sostituirci nella cura dei figli. Perché il sugo lo sa preparare anche papino ed è buonissimo.
E voi unimamme cosa ne pensate? Vi piacerebbe venisse accolta?
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