Fino adesso si è creduto che una precedente esposizione a un virus influenzale avrebbe conferito una minima una piccola o una nulla immunizzazione nei confronti di un altro virus trasmesso dagli animali alle persone.
Gli scienziati dell’Università dell’Arizona, come riportato su Science Daily, hanno studiato due ceppi dell‘influenza aviaria, ciascuno dei quali ha causato centinaia di ricadute di gravi malattie o addirittura di morte.
Entrambi i ceppi sono di rilevanza mondiale perché a un certo punto potrebbero mutare e passare dagli animali alle persone e diffondersi rapidamente.
Gli scienziati hanno scoperto che a seconda di quale tipo di influenza una persona viene esposta da bambino questa determina da quale tipo di influenza aviaria sarò protetto in futuro.
Questo effetto di “imprinting immunologico” dipende appunto dall’esposizione al primo virus dell’influenza incontrato durante l’infanzia.
Quando una persona si ammala per la prima volta il sistema immunitario produce degli anticorpi, una proteina a forma di lecca lecca che sporge dalla superficie del virus. Questa si chiama emoagglutinina.
Come lecca lecca che hanno diversi colori e sapori i virus influenzali differiscono nelle parti che costituiscono le emoagglutinine.
Bisogna tener presente però che ciascuno dei 18 tipi di emoagglutinina del virus influenzale A, per esempio, cade solo in due dei principali gruppi di “sapore”.
Worobey, uno dei ricercatori, spiega: “se successivamente, nella vita si incontra un altro tipo di virus influenzale, uno magari derivato da un uccello e un altro che il vostro sistema immunitario non ha mai visto prima ma le cui proteine sono simili al sapore “arancione” le vostre probabilità di morire risulteranno essere molto basse a causa della protezione incrociata. Se invece siete stati infettati da piccoli dal gruppo del lecca lecca blu, questo non vi risparmierà da quello arancione”.
Sempre Worobey sottolinea che noi esseri umani non siamo una lavagna completamente vuota quando si tratta di determinare quanto siamo suscettibili ai virus influenzali emergenti.
Sempre tornando sull’analogia del lecca lecca, alcune persone nate alla fine del 1960 sono state esposte al “lecca lecca blu” dell’influenza da bambini (H1 o H2). Gli scienziati hanno scoperto che i gruppi più anziani raramente soccombono all’aviaria H5N1 (che condivide una emoagglutinina blu), muoiono invece più spesso per quella arancione H7N9.
Le persone nate dopo la fine degli anni Sessanta ed esposte al lecca lecca arancione da bambini hanno mostrato gli stessi risultati speculari.
Risultano essere protetti dall’H7N9 ma rischiano una grave malattia o addirittura la morte se esposte al virus H5 non corrispondente a ciò che hanno sperimentato durante l’infanzia.
Tutto questo, secondo lo scienziato, aiuta a spiegare perché, come nel caso della pandemia del 1918, solo certe fasce di età hanno probabilità di soffrire di complicazioni gravi o addirittura mortali causate da ceppi influenzali.
Tutto questo può darci indicazioni su come affrontare la prossima pandemia.
Infine, Worobey e i co autori dello studio hanno dimostrato che:
se i pazienti sono stati esposti ai virus da bambini.
In conclusione Worobey invita ad approfondire, attraverso la ricerca, il meccanismo sotteso all’imprinting immunologico in vista di un possibile modo per modificare il vaccino.
Unimamme, voi cosa ne pensate di questa scoperta?
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