Spesso una mamma si sente sola dopo che ha partorito. Persino chi dovrebbe stare vicino alla donna, chi dovrebbe aiutarla le dice: “eh, ma l’ha scelto lei di diventare genitore, non l’ha obbligata nessuno!”: in questo modo non solo non trova ascolto e comprensione, ma si sente anche sbagliata perché non sta bene.
Chissà perché quando una donna diventa madre automaticamente tutti o quasi si aspettano che si trasformi in una santa che sa tutto. Non è ovviamente così, soprattutto per quanto riguarda il primo figlio.
Per questo quando ci sono delle associazioni che si occupano del benessere delle madri non possiamo che essere contente e diffondere l’informazione.
La riflessione parte da una mamma, Patrizia De Lio, psicologa e psicoterapeuta, che da dieci anni si occupa delle mamme in difficoltà. Ecco cosa scrive proprio lei su Facebook dopo che è nato suo figlio.
“Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!
Traduco: la bicicletta in questione si chiama Giovanni e pedalare significa non lamentarti!
La bicicletta l’ho voluta eccome…Giovanni è la scelta che rifarei sempre e comunque.
Ciò che non vorrei invece, è il disagio: quel senso di inadeguatezza, di precarietà, di insicurezza che ha caratterizzato i miei primi mesi da mamma. L’ho tollerato. L’ho accettato. L’ho superato.Non mi dà pace però il ricordo dell’atteggiamento disinteressato e superficiale delle figure sanitarie a cui mi sono rivolta nel momento di difficoltà.
Ammettere di aver bisogno di aiuto non è stato banale, né semplice”
Proprio il ginecologo che l’aveva seguita in gravidanza non ha mostrato di certo comprensione:
“A qualche settimana dal parto, ho richiesto una visita al ginecologo che mi ha seguita durante la gravidanza e gli ho raccontato come mi sentivo. Per tutta risposta mi ha detto: ”Signora…e cosa credeva? Ha voluto la bicicletta? Adesso deve pedalare. Avrebbe dovuto pensarci prima, non le pare?”.
Già. Cosa credevo?
Beh, innanzitutto credevo (forse speravo) che il mio ginecologo dimostrasse più comprensione!
Mi sarebbe bastato un: “Signora, so che è difficile. Coraggio però! Mi vuole raccontare com’è stare col suo bambino? Cosa la preoccupa?”. Ecco, questo avrei voluto caro dottore.
Ma quello che Patrizia avrebbe soprattutto voluto lo dice chiaramente:
“Ma avrei voluto anche altro.
Avrei voluto che in ospedale al momento del parto, l’ostetrica non mi obbligasse a stare in una posizione scomoda e dolorosa, che mi facesse partecipare alla nascita di mio figlio e non mi dettasse regole da seguire. Che mi dicesse che mi stava praticando un’episiotomia (inutile e le cui conseguenze subisco ancora adesso) e che chiedesse il mio assenso.
Che, sempre in ospedale, qualcuno mi aiutasse nell’allattamento, che mi facesse vedere l’attacco corretto al seno evitandomi ragadi dolorosissime.
Che a 18 ore dalla nascita non dessero a mio figlio il ciuccio senza chiedermelo, né tanto meno il latte artificiale.
Che non fossi abbandonata a me stessa una volta rientrata a casa. Un figlio, nonostante sia desiderato e amato mette a dura prova la sua mamma. Tutte lo sanno? no. Tutte ci pensano? no. Tutte ne parlano? no. Tutte chiedono aiuto? no. Tutte quelle che chiedono aiuto vengono supportate? no”.
Il problema è che della difficoltà della maternità non se ne parla, e per questo è da condividere l’appello di questa mamma:
“bisogna informare le future mamme e i futuri papà durante i corsi pre-parto, che bisogna formare i professionisti (medici di base, ginecologi, ostetriche, pediatri) in modo che possano fare prevenzione e possano essere davvero d’aiuto“.
Ma non basta che ad essere formati siano i professionisti, perché purtroppo manca una rete di supporto a casa:
“Quasi tutte le mamme lamentano supporto insufficiente e inadeguato dopo il parto. Al rientro a casa sono sole con le loro paure, i dubbi, la stanchezza. Molte minimizzano il loro malessere e non lo fanno emergere neppure con i familiari, si vergognano. Vanno dal pediatra mille volte per il loro bambino, ma trascurano se stesse e sperano che tutto passi in fretta.
Quelle mamme che invece comunicano la propria fatica spesso subiscono un atteggiamento poco comprensivo e poco supportivo, e ancor più spesso giudizi pesanti.
I giudici più severi, in genere, sono le altre mamme, quelle che ti dicono che “non hai voglia di fare nulla”, che “non ti impegni abbastanza”, che “non hai diritto a lamentarti”, che “prima viene il bambino”, che “se non avevi intenzione di fare sacrifici e rinunce potevi anche non farlo un figlio”. Tutte brave le altre!”
Per questo Patrizia ha deciso di fondare l’associazione Sinergicamente, che opera sul territorio di Piacenza e di Monza, attraverso la collaborazione con psicologi, psicoterapeuti, ostetriche, pediatri, educatori e che fornisce una serie di servizi denominati “Progetto Gemma” per supportare la salute mentale materna. Questi servizi sono:
Attività clinica (psicologica-psicoterapica) nei seguenti ambiti:
C’è poi anche la possibilità di avere un sostegno a domicilio dopo il parto a prezzi contenuti. Insomma, c’è chi vi può ascoltare e non dovete sentirvi sole, care mamme. Ricordatevi sempre che c’è una via d’uscita e avere voglia di curarsi è il primo passo per stare bene!
E voi unimamme cosa ne pensate dello sfogo di questa mamma e e esperta? E del servizio che ha deciso di offrire, partendo dalla sua esperienza personale?
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