Quando si inizia lo svezzamento – di solito attorno al sesto mese – i pediatri danno un foglio con le indicazioni per seguire le pappe.
E’ questo il periodo in cui le mamme cominciano a procurarsi il cibo per l’infanzia, che molti pediatri considerano addirittura più sicuro dell’alimento fresco.
Io mi sono sempre fidata e devo dire che non mi sono posta mai molti problemi sulla bontà dei prodotti che acquistavo (più con Paola rispetto a Vittoria, visto che la mia secondogenita è passata quasi subito al cibo di noi adulti). Eppure dall’inchiesta condotta dal programma Rai “Indovina che viene a cena” tutta questa sicurezza non viene trasmessa.
Cibi per l’infanzia: che cosa ne sappiamo?
Secondo l’inchiesta i cibi per l’infanzia sono stati inventati a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento da alcuni scienziati e industriali per combattere il problema della malnutrizione. Così per esempio è stato raccontato che:
- un medico milanese ha trovato la formula proteica da inserire nei biscotti (ed è nata la Plasmon)
- lo yogurt per bambini – Danone – è stato formulato per risolvere i problemi intestinali dei più piccoli grazie ai fermenti
- il primo latte in polvere – che allora si chiamava farina lattea – è stato concepito da Nestlé e dai suoi fratelli per aiutare i bambini prematuri che rifiutavano il latte delle madri.
Tutte invenzioni utili quindi. Con il passare del tempo, però, il rischio è che si sia data più importanza al fatturato rispetto alla sicurezza. Il giro d’affare legato al cibo per l’infanzia è infatti di diversi milioni di euro.
Ciò che emerso di preoccupante dalla trasmissione è che la legge europea non impone alle aziende produttrici di alimenti per l’infanzia di riportare in etichetta l’origine delle materie prime utilizzate, cosa che invece è obbligatorio fare, ad esempio, per il prodotto fresco. Quindi se compriamo un kg di carne fresca, in etichetta per legge possiamo vedere la provenienza, se invece compriamo un vasetto di omogeneizzato, no.
Ok, potremmo dire, la legge non lo richiede non lo faccio. Però perché, anche di fronte alla richiesta diretta dei giornalisti di fornire l’elenco degli ingredienti, ciò non è avvenuto, giustificando la decisione con “ragioni di riservatezza”?
Inoltre, perché se un’azienda decide di invitare all’interno di uno stabilimento di produzione delle mamme blogger,in qualità di influencer e clienti target, la stessa non accetta invece dei giornalisti? Sarebbe interessante capirne il motivo.
Infine, l’inchiesta ha puntato l’attenzione sul perché viene riportato sulla confezione degli alimenti che si possono introdurre già a partire dal 4 mese, nonostante le raccomandazioni dell’OMS sottolineino l’importanza di allattare esclusivamente fino al sesto mese? A questa domanda ha risposto un epidemiologo, Adriano Catteneo, che ha spiegato come nel 2009 era stata chiesta dalla Comunità Europea un’opinione all’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza degli alimenti, e l’opinione su positiva, ossia che si poteva fare. Catteneo però ha specificato che la maggior parte dei componenti del comitato di esperti chiamato a fornire il parere aveva in realtà conflitti di interesse dichiarati con grandi aziende produttrici di cibo per l’infanzia.
Di chi fidarci quindi? Del pediatra, verrebbe da dire, ma non è scontato: la trasmissione ha infatti puntato l’attenzione anche sul fatto che a volte i pediatri, e questo l’abbiamo visto quando abbiamo parlato di latte artificiale, diventano risorse importantissime per le aziende.
E voi unimamme, sapevate tutte queste cose? Come vi regolate con i vostri figli?