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Depressione post partum: ecco come guardare un film può aiutare ad uscirne

Published by
Valentina Colmi

Può un film aiutare ad uscire dalla depressione post partum?

Da solo no, ma è un modo per cercare di sopravvivere. Lo spiega bene Maggie Dows, giornalista de The New York Times che ha voluto raccontare il suo primo anno di vita da mamma, quando travolta dal ciclone della nuova vita che era nata, non si era ritrovata proprio serena.

Depressione post partum: si può uscirne guardando un film?

Maggie ha così scelto – più che altro per sopravvivenza – di andare al cinema con il bebé: ogni mercoledì quando suo marito usciva per andare al lavoro, ritrovarsi davanti al grande schermo era diventato il suo appuntamento fisso. Everest, il suo bimbo, aveva appena tre mesi e lei racconta: “Ho avuto un terribile taglio cesareo, una ferita che non riusciva a rimarginarsi, un’ansia tremenda e anche del peso in più accumulato in gravidanza che non ero stata in grado di togliermi ancora. La depressione post partum aveva incominciato a impossessarsi di me”. 

Le luci soffuse e la possibilità di rilassarsi erano per Maggie il suo momento per se stessa, nonostante non l’abbia vissuto senza sensi di colpa: “I pediatri dicono di non esporre i bambini agli schermi, ma io ho preferito la mia salute mentale“. Secondo lei i film infatti le sono stati utili per uscire dalla DPP.

La capisco bene, perché anche per me è stato così. Con Paola non sapevo come comportarmi, sapevo che non ero felice di essere diventata mamma, ma non avevo ancora dato un nome alla malattia. Anch’io avevo subìto un cesareo e la gravidanza mi aveva lasciato ben 20 chili in più. Non mi riconoscevo, non sapevo più chi ero.

Non sono andata al cinema, questo no, però anch’io avevo trovato il mio appuntamento fisso: ogni giorno mi ritrovavo a guardare tutti gli episodi di “Una mamma per amica”, una serie che avevo sempre snobbato e di cui oggi conosco invece ogni stagione. E’ evidente l’associazione: io che mi sentivo una pessima madre guardavo in tv la miglior madre che ogni figlia desidera. Questo non mi ha fatto sentire peggio, in realtà: mi ha fatto sentire meno sola. Mi ha aiutato a non pensare sempre a quanto mi ritenessi incapace, mi rilassava: il bello è che spesso la vedevo con Paola che dormiva in braccio!

Credo che si debba prescrivere anche una terapia di svago per chi soffre di DPP: trovare un modo per non pensare sempre ai propri mali, per non alimentarli e soprattutto per ritagliarsi del tempo per sé è un’ottima medicina (anche se l’aiuto psicologico rimane comunque fondamentale).

E voi unimamme cosa ne pensate?

Valentina Colmi

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