Una volta di facevano i figli e poi li si delegano a qualcun altro per andare a lavorare, perché si proveniva spesso da famiglie con poche disponibilità economiche e accumulare ore e ore di attività magari per avere più straordinari e quindi più soldi era l’unica soluzione. Non stiamo ovviamente parlando dell’Era Preistorica, ma di cinquant’anni fa.
Per esempio: mia nonna lavorava come operaia in una grossa azienda e partiva da casa la mattina alle 4 in bicicletta e tornava la sera tardi. Mia mamma e mia zia sono state cresciute una dalla nonna materna e una da quella paterna. Mancava un progetto educativo: e chi ne aveva il tempo?
Per fortuna negli anni si è capita l’importanza della cura dei figli: educare dei bambini a diventare le persone di domani non è uno scherzo, sebbene in molti convengano che sarebbe più giusto lasciarli ad altri per dedicarsi alla soddisfazione personale. Io non sono d’accordo. Il lavoro è importante, certo, ma la famiglia per me è la cosa che conta di più: soprattutto nei primi tre anni di vita è fondamentale che i bimbi abbiano una base sicura da cui poi allontanarsi progressivamente.
Il famoso tempo di qualità, di cui tanto si parla, è in realtà una bugia che ci si racconta per giustificare le proprie assenze: i bambini hanno bisogno anche di quantità. A dirlo non sono io, ma diversi studiosi ed anche Giuliana Mieli, psicologa e psicoterapeuta, nel bellissimo libro che consiglio a tutti di leggere e che si chiama “Il Bambino non è un elettrodomestico”.
A sostenerlo è anche una ricerca condotta su 11 Paesi occidentali, tra cui Stati Uniti, Regno Unito e Italia, e pubblicata sul Journal of Marriage and Family su 122 persone adulte tra il 1965 e il 2012.
Lo studio ha stabilito che:
A fare la differenza pare sia il livello di istruzione:
Per gli autori dello studio si tratta di “intensive parenting“, un vero e proprio trend culturale, che ha ritrovato nella crescita e nell’accudimento della famiglia il suo punto centrale. La ricerca ha ancora una volta sottolineato l’importanza del “tempo di qualità”, ma anche di quello di quantità, intendendolo però come impiegato per attività stimolanti: è stato per esempio dimostrato che le madri e i padri che leggono le favole ai bambini nei loro primi dieci anni di vita avranno dei voti migliori a scuola.
Ecco quindi che ragionare su questi dati può aiutare anche quei bambini provenienti da famiglie svantaggiate, nelle quali i genitori non dedicano, per diverse ragioni, tempo di qualità, aiutandoli da piccoli e monitorandoli da grandi. Occorre convincere infatti questi genitori, aiutandoli, a trasformarsi in “genitori che investono tempo con i loro figli“.
Far arrivare il messaggio che la quantità del tempo passato con i figli non sia importante è un grande errore, e comporta problemi non solo alle famiglie ma alla società intera.
E voi unimamme cose ne pensate? Quante ore passate con i vostri figli?
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