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Scuola

3 casi di suicidio in un giorno: è un problema educativo secondo gli esperti

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Valentina Colmi

Ci troviamo di fronte ad un a generazione adolescenziale particolarmente fragile da un punto di vista emotivo. Questo è vero e lo dicono tutte le ricerche. C’è quella che in un recente lavoro chiamo “carenza conflittuale”. Significa che c’è una profonda difficoltà a gestire le situazioni critiche, di contrarietà e di conflittualità così dichiara il pedagogista Daniele Novara al magazine ‘Vita’ dopo i tre ultimi fatti di cronaca – avvenuti tutti allo stesso giorno – in cui 3 ragazzi dai 16 ai 22 anni hanno deciso di farla finita.

C’è Carlo (anche se il suo nome è di fantasia) che si è buttato dalla finestra mentre in casa era in corso una perquisizione della Finanza – chiamata dalla stessa madre – dopo che a scuola gli avevano trovato 10 g di hashish. Aveva solo 16 anni e si è sentito perduto.

C’è poi una ragazza di 17 anni che senza motivo apparente – pare per cause psichiche – si è sganciata la cintura di sicurezza con l’auto in corsa e si è lanciata fuori sull’asfalto dove è stata investita da un camion. Il tutto è avvenuto davanti gli occhi del padre, rimasto sotto shock.

E poi c’è  A.D., un 23enne di Badia Polesine studente universitario a Ferrara che avrebbe dovuto festeggiare la laurea in ingegneria civile. Ha atteso il treno Freccia Rossa che da Napoli andava a Venezia e si è lanciato sui binari. Nessuna spiegazione, nessun biglietto, forse il corso di laurea non completato.

“La realtà fa più paura della morte”: i nostri ragazzi e la loro difficoltà di vivere

Cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Perché preferiscono compiere un gesto così estremo piuttosto che affrontare i problemi?

L’adolescenza e l’entrata nel mondo degli adulti sono momenti difficili, in cui il dialogo con i genitori diventa intermittente. Forse noi genitori siamo troppo protettivi con i nostri figli: non vogliamo che abbiano problemi, che sperimentino il fallimento. Abbiamo l’idea che per farli stare bene non debbano soffrire. Però poi il mondo è diverso, senza mamma e papà che ti aiutano e lì bisogna fare i conti con la frustrazione di non riuscire, di essere uno tra tanti e non il centro dell’universo come si è abituati.

Senza contare che anche i genitori non vogliono conflitti. Non vogliono probabilmente litigare, spesso lasciano correre per la paura che i figli poi non si fideranno più, che non si comporteranno più come loro amici.

Non è semplice accettare di crescere un altro essere umano: è una sfida continua, anche se già dalla preadolescenza cominciano le difficoltà ed è anche il periodo in cui le madri sono maggiormente depresse. 

Daniele Novara sostiene nella sua intervista a ‘Vita‘ che i problemi siano fondamentalmente due:

  • il fatto che i problemi come la droga o il bullismo vengano affrontati in campo giudiziario. Ci sono dei problemi legati insomma all’educazione che non possono e non devono essere affrontati dai tribunali.
  • c’è una profonda difficoltà ad affrontare la frustrazione dei ragazzi più giovani, che hanno anche indici di socializzazione molto bassi anche a causa dei social media sui praticamente vivono e che non sono in grado di affrontare le normali fatiche della quotidianità. Per questo quindi preferiscono compiere atti di autolesionismo, che sono molto diffusi.

Non si tratta di un paradosso il fatto che personalità così fragili compiano degli atti estremi come la morte, secondo Novara: “Non ci vuole coraggio, ci vuole solo una profonda difficoltà, ontologica, ad affrontare la realtà. Si preferisce annullare i problemi piuttosto che affrontarli. La realtà fa più paura della morte. Basta poco per destabilizzare l’equilibrio del giovane e portarlo a scelte irreparabili.”.

La domanda che ne consegue è se esistono delle vie d’uscita a questa situazione.  Novara risponde così: “La cultura del videogioco sta rovinando i ragazzi. I neurologi ci dicono che quando un ragazzo si fa tante ore ogni giorno davanti ai videogiochi il suo cervello comincia a mortificarsi precludendosi importanti esperienze della vita e a ridurre la sua capacità di affrontare i passaggi evolutivi.” e poi aggiunge “Ovviamente dietro ai videogiochi ci sono genitori fragili che non sanno assumersi il proprio ruolo educativo. Questo è molto più pericoloso che farsi uno spinello ogni tanto. È su questo che bisogna lavorare“.

Sinceramente non sono convinta che siano i videogiochi parte del problema, anzi alcuni permettono anche di sviluppare delle risorse intellettive, ma solo se ben utilizzati. Certamente la difficoltà maggiore è proprio la carenza educativa: io però non mi sento di giudicare le scelte genitoriali altrui.

Chi può dire quando è giusto intervenire, quando è giusto mollare il colpo, quando è giusto ascoltare? Sinceramente è molto difficile rispondere. L’unica cosa che mi pare giusta è che si debba lavorare molto sul dialogo con i figli fin da piccoli, incoraggiandoli a fidarsi e non a considerare i genitori solo come figure punitive.

Infine è sicuramente necessario che la società si prenda carico di queste carenze, prevedendo sin dall’infanzia, nelle scuole, azioni volte a supportare e rafforzare i nostri figli. Se non c’è lavoro di squadra, è tutto più difficile.

E voi unimamme cosa ne pensate?

Valentina Colmi

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