Non è piacevole stare qui a raccontare quello che mi è accaduto recentemente. Però penso che sia doveroso farlo, in primis per me per elaborarlo e buttarlo fuori; secondariamente per dare forza a chi ci è passata o ci sta passando.
Circa una settimana fa sono andata dal ginecologo perché avevo scoperto di essere incinta. Si sarebbe trattata della mia terza gravidanza, cercata e voluta, noi che abbiamo sempre desiderato una famiglia numerosa. Già da qualche giorno avevo dei dolori strani, alla schiena e al basso ventre, come se mi fosse dovuto venire il ciclo: avevo già chiesto delucidazioni al medico e lui mi aveva rassicurato “sono comuni“.
Siamo andati – io e mio marito – alla visita con uno spirito speranzoso e di curiosità, cercando di lasciare i brutti pensieri alle spalle, visto che io tendo sempre ad essere pessimista. Purtroppo però le mie sensazioni erano vere: non appena il ginecologo ha appoggiato la sonda ecografica sulla mia pancia mi ha dato la sentenza: “Qui non c’è niente“. Niente battito, niente embrione, niente di niente. C’era però una traccia nella tuba e questo significava solo una cosa: gravidanza extrauterina.
Le strade possibili erano due:
In questo caso avrei dovuto farmi operare per toglierla, anche se c’era comunque l’ipotesi di un’emorragia interna. Senza beta hcg però non avrebbe potuto darmi una diagnosi precisa: quindi l’unica cosa da fare era sperare che le beta scendessero.
Inutile dire come siamo usciti. In realtà io un po’ me lo aspettavo perché avevo dei sintomi troppi diversi dalle altre gravidanze e quindi – anche se incredula – non stavo vivendo un fulmine a ciel sereno.
L’indomani mattina sono andata a fare le beta e ovviamente ho incontrato una bella mamma incinta che stava facendo la curva di glucosio: felice, con il suo bel pancione. L’ho invidiata tantissimo. Così come ho invidiato le mamme che ho incontrato in ospedale. Sì, perché sono stata male e mi hanno ricoverata. Ero in fila per sapere se stavo abortendo e di fianco a me c’erano solo donne che parlavano di b-test e di esami da fare in gravidanza. A loro era andata bene. Perché a me no?
Alla fine hanno deciso appunto di tenermi in osservazione, confermando la diagnosi prima solo sospetta: aborto tubarico. La gravidanza si è spenta subito e quindi si è verificata la migliore delle ipotesi, anche perché le beta – che nel frattempo mi sono state fatte in ospedale – stavano scendendo. Nella sfortuna sono stata fortunata.
Ho passato solo una notte in ospedale: le bambine sono andate dai nonni, così io avuto il tempo di capire – non di metabolizzare, per quello ci vorrà ancora un po’ – cosa mi stava succedendo. Il tutto si sarebbe risolto da solo con una mestruazione più abbondante.
Ho voluto raccontare la mia storia – come quella della scrittrice che ha capito la positività del suo aborto – perché credo che anche dal brutto possa sempre nascere qualcosa di bello. Per esempio ho capito che sono forte, che posso superare tante difficoltà e che nulla può essere dato per scontato. Ho una famiglia bellissima che mi sta aiutando tanto, anche se non è semplice. Non riesco a vedere le donne incinte, non ce la faccio. So che non è colpa di nessuno, ma è così. Non ci si poteva fare nulla, è accaduto e basta, “è la natura che decide” ha detto la ginecologa dell’ospedale.
L’aborto non deve essere un tabù: non si deve nascondere, non ci si può vergognare. Capita, a tante visto che in molte mi hanno scritto che è successo anche a loro, ma non si può dire perché c’è il mito della gravidanza perfetta.
Non siamo delle donne difettose, siamo delle donne a cui è accaduto qualcosa di brutto, ma che si risolleveranno e che per questo avranno ancora più consapevolezza quando cercheranno una nuova gravidanza.
Forza a tutte voi che state combattendo o che state lottando per accettare la vostra perdita: anche dal brutto può nascere un germoglio.
E voi unimamme cosa ne pensate? Ci siete passate?
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