Una storia davvero agghiacciante che arriva da Torino e che sembra incomprensibile, soprattutto perché chi ha giudicato è una donna, la giudice Diamante Minucci.
I fatti risalgono al 2011 quando la giovane Laura, assunta precaria in Croce Rossa come autista barelliera, avrebbe dovuto sottostare alle ripetute violenze di M.R, ex operatore delle CRI, per poter mantenere il lavoro.
Laura ha fatto quello che in genere consigliano di fare: l’ha denunciato. Eppure la legge non l’ha assolutamente tutelata. Infatti al processo l’uomo di 46 anni – che al tempo era commissario dei volontari – è stato assolto per una motivazione che definire assurda è dir poco: la donna non avrebbe urlato durante la presunta violenza.
Le motivazione della sentenza dicono che la vittima: “non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo“ e ancora “non grida, non urla, non piange e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi“.
Pertanto per i giudici il reato non solo non sussiste, ma Laura dovrà anche affrontare un processo per calunnia.
A sentire l’assoluzione dell’uomo, Laura è svenuta fuori dall’aula, ma per fortuna l’hanno aiutata i suoi amici della Croce Rossa -“la mia famiglia” – e con loro anche l’ex moglie dell’accusato, con cui è in fase di divorzio.
Laura – che per altro viene da un passato di abusi subiti dal padre – avrebbe quindi la colpa di non aver urlato quando le venivano perpetrate le violenze, forse proprio per colpa di quel suo passato certamente pesante come un macigno: durante le deposizioni spesso il suo racconto si è fatto vago e confuso, con frequenti scoppi di pianto (solo questo non è sintomo di sincerità? vallo a sapere), nonostante i 6 anni trascorsi dai fatti.
La donna ha raccontato a Il Corriere della Sera che lei si è opposta, ma non ha messo la forza come avrebbe voluto “perché con le persone troppo forti io non… io mi blocco” e aggiunge “Ora non denuncerei più. Chi me l’ha fatto fare. Lui c’era in aula, quel giorno in cui ho dovuto raccontare tutto. Quelle sei ore non passavano più“.
L’avvocato Virginia Iorio che l’ha difesa in aula spiega: “Vorrei mettere dieci donne in una stanza davanti a un trauma. Tutte e dieci reagiranno in modo diverso. Mi viene il sangue agli occhi: creare uno stereotipo di comportamento come quello che ha fatto questa sentenza. È come dire, noi siamo abituate a una tipologia e da lì non ci stacchiamo“. La legale intende però andare fino in fondo, alla Cassazione: “Io combatterò fino alla fine”.
La giovane donna sta comunque seguendo un percorso psicologico che l’aiuterà ad affrontare il trauma e le ferite del passato, ma ci vorrà tempo: “E poi ci si stupisce che le donne non denuncino le violenze?” dice l’avvocato Iorio.
Purtroppo bisogna ammettere che è terribilmente vero.
E voi unimamme cosa ne pensate?
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