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Una mamma chiama il marito soldato per il 7° aborto spontaneo ma cade la linea

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Maria Sole Bosaia

Magari alcune di voi avranno sperimentato una gravidanza che non è andata come avremmo voluto e il conseguente dolore e frustrazione per tutto ciò che rappresentava.

Aborto spontaneo: la storia di una mamma

Oggi vogliamo condividere con voi la storia di una mamma che magari sentirete vicina alla vostra esperienza.

Amanda, una mamma come tante, desiderava con tutto il cuore desiderava realizzare il sogno di avere un bambino, ma purtroppo la prima gravidanza si è risolta in un aborto spontaneo a meno di 10 settimane.

La delusione è stata tanta, insieme alla frustrazione di dover comunicare la brutta notizia ad amici e parenti che cercavano di incoraggiarla dicendole che poteva tentare nuovamente.

I dottori l’avevano rassicurata sottolineando che non c’era motivo per cui non avesse, in seguito, dei figli, e che purtroppo quelle erano “cose che succedono”.

Anche la gravidanza successiva si è risolta con un aborto spontaneo e di nuovo Amanda si è sentita vuota, truffata e ha visto i suoi sogni di maternità sfuggirle tra le dita”.

La terza volta invece, Amanda ha partorito un bellissimo bambino “ho sentito come se fosse stata la ricompensa per le perdite che avevo subito, con il mio bimbo tra le braccia mi sentivo come se la mia vita fosse completa e tutti i miei ricordi degli aborti spazzati via dalla mia mente”.

In seguito Amanda ha divorziato con il padre del figlio e si è risposata con un altro uomo con cui ha deciso di avere un bimbo.

Purtroppo a 9 settimane di gravidanza la donna si è svegliata nel cuore della notte con una sensazione di crampi famigliari.

Sono scivolata fuori dal letto a quattro zampe e mi sono seduta in bagno a piangere. Simon mi ha tenuta stretta e mi ha detto che avevamo già tanto di cui essere grati, avevamo due bei bambini e ciò che era appena accaduto era triste ma potevamo tentare ancora”.

Purtroppo Amanda ha avuto altri due aborti spontanei.

L’ultima volta ha sofferto di nausee mattutine e per questo motivo molti amici le hanno suggerito che si trattasse di una gravidanza forte.

Suo marito Simon, un soldato, era stato trasferito in Iraq e Amanda aveva sentimenti contrastanti. Da una parte soffriva per la lontananza, dall’altra era contenta di portare in grembo il figlio dell’uomo che amava. Inoltre aveva anche la preoccupazione di un marito in zona di guerra, con tutte le conseguenze del caso.

“Il pensiero che lui non avrebbe fatto parte della vita del bimbo dopo tutto ciò per cui avevamo combattuto era orribile”.

A 12 settimane gli esami andavano bene e Amanda si sentiva molto positiva. “Quando mi hanno detto che andava tutto bene ho quasi fatto i salti di gioia”.

La mamma ha iniziato a parlare a colei che credeva essere una bambina e a comprarle vestiti.

Contemporaneamente Amanda scriveva al marito Simon, sempre in Iraq.

Durante l’ecografia alla 22° settimana la donna ha ricevuto la notizia più brutta: il piccolo era morto.

Non c’erano stati sintomi o sanguinamento, ma quella era la realtà. Invece di passare subito alla procedura di espulsione Amanda è tornata a casa per riflettere sull’accaduto e dire addio alla bambina mentre era ancora con lei.

Il marito, sapendo che la moglie aveva fatto l’ecografia, l’ha chiamata per avere i risultati. Non appena ha sentito la voce del marito Amanda è scoppiata in lacrime, in quel momento la linea è caduta.

“Il mio cuore ha fatto un balzo. Era successo per una perdita si segnale, cosa che accadeva a volte in quel  luogo, o gli era successo qualcosa? Non c’era modo di mettersi in contatto con lui. Mi sono sentita sola e spaventata” ha dichiarato sul Mirror.

Così, con molta ansia, Amanda è arrivata al giorno in cui sarebbe dovuta tornare in ospedale per praticare l’aborto.

Quel mattino è stata svegliata da qualcuno che bussava alla porta.Il mio cuore ha cominciato a correre e ho temuto che fossero i colpi alla porta che tutta la mia famiglia temeva . Era successo qualcosa a Simon? Sono andata ad aprire tremando”.

Davanti a lei c’era Simon vestito con gli abiti da soldato e sporco di sabbia che l’ha abbracciata forte dicendole: “ti avevo detto che sarei sempre venuto da te se avessi avuto bisogno”.

L’uomo, intuendo che qualcosa era andato storto, aveva preso il primo mezzo disponibile per tornare a casa il prima possibile e sostenere la moglie.

“Aveva ragione, durante tutta la procedura è stato al mio fianco tenendomi la mano”.

Per Amanda non è stato facile parlare di tutti i suoi aborti. La ripresa dall’ultimo è stata dura perché gli ormoni erano impazziti e il suo corpo produceva latte per un bimbo che non avrebbe allattato.

“Non sapevo nemmeno quali parole usare e come elaborare il lutto. Non mi piaceva il termine “gravidanza fallita” perché mi faceva sentire come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Ho perso la speranza di avere un altro bimbo”.

Amanda in qualche modo, ha cercato di andare avanti con la sua vita “qualche volta penso all’età che avrebbero i bambini e cosa starebbero facendo. Questi pensieri mi rendono triste, ma mi danno anche conforto. Vorrei che non ci fosse uno stigma attaccato all’aborto spontaneo e vorrei capire perché “è successo””.

Unimamme, voi avete avuto esperienze simili a quelle di Amanda? Siete riuscite a parlarne con amici e famigliari?

Noi vi lasciamo con la storia di una mamma e del suo aborto tubarico.

 

 

Maria Sole Bosaia

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