Come ogni anno il 21 marzo si celebra la Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down, una sindrome che colpisce un bambino su 1000 secondo l’Oms. Solo in Italia si contano circa 40 mile persone, e l’età media è di 25 anni. Dati incoraggianti riguardano la sopravvivenza media: in costante crescita (la media in Italia è 62 anni) grazie soprattutto ai progressi nella medicina.
A scanso di equivoci va detto che la Sindrome di Down è una condizione genetica irreversibile che si forma al momento della riproduzione sessuale, quando nella fusione dei gameti femminile e maschile non si verifica una corretta separazione (meiosi) dei cromosomi dei genitori. L’individuo così formato ha tre coppie del cromosoma 21 invece di due, come avviene quando il processo si completa normalmente. Questa condizione è chiamata scientificamente Trisomia 21, mentre Sindrome di Down viene dal nome del suo scopritore, il medico inglese John Langdon Down.
La Trisomia 21 comporta un ritardo nello sviluppo fisico e cognitivo dell’individuo.
Negli ultimi anni, le persone con Sindrome di Down hanno acquistato sempre maggiore autonomia e spazi nella società, con risultati sorprendenti. Per fortuna sono meno discriminate rispetto al passato, anche se la strada da fare è ancora lunga.
Se la condizione della Trisomia 21 non è modificabile, essendo legata al patrimonio genetico dell’individuo, nuove terapie sono state sviluppate per migliorare la vita delle persone affette dalla Sindrome di Down e curare i disturbi più comuni di cui soffrono.
Recentemente il dibattito negli USA si è spostato sulla eventuale possibilità di “curare” la Trisomia 21, che non significa ovviamente correggere l’errore cromosomico, ma rimuoverne le conseguenze patologiche.
Ad accendere il dibattito sono stati due ricercatori in scienza e tecnologie e biologia, Nicholas e Petra Buchanan, marito e moglie, genitori di una bambina con Sindrome di Down.
I due studiosi hanno sottolineato come le questioni sociali relative alla non discriminazione delle persone con Trisomia 21, pur certamente apprezzabili e doverose, hanno messo in secondo piano gli aspetti medici e soprattutto i problemi per la salute che derivano da questa condizione. Non si tratta di vedere le persone con Sindrome di Down come un problema, ma di cercare di risolvere i problemi da cui sono inevitabilmente colpite.
I ricercatori, poi, hanno biasimato l’atteggiamento di molti medici che si limiterebbero a trattare la Trisomia 21 come una situazione acquisita, contro la quale non sarebbe possibile alcun intervento. Questo è ad esempio ciò che è accaduto a loro.
I coniugi Buchanan hanno quindi scritto un articolo denuncia, pubblicato sull’Huffington Post Usa in cui sottolineano queste problematiche e tentano di dare una risposta, anche sulla base delle ultime ricerche scientifiche.
Nell’articolo si parla dalle condizioni mediche provocate dalla Trisomia 21, che furono per la prima volta evidenziate dal pediatra francese Jerome Lejeune nel 1959. Da allora, sottolineano i Buchanan, la scienza ha cercato di stabilire come la coppia di cromosomi in eccesso nelle persone con Sindrome di Down provochi le patologie normalmente associate alla Trisomia 21.
La ricerca ha avuto una spinta decisiva nel 2000, spiegano i Buchanan, quando per la prima volta il cromosoma 21 è stato interamente mappato. Ciò ha permesso di individuare 225 geni, e successivamente altri ancora, presenti nel cromosoma 21. Con le nuove conoscenze gli scienziati possono trovare nuove connessioni tra il materiale genetico in eccesso (il cromosoma 21) e le condizioni mediche che ne conseguono. Un processo che è ancora in corso.
Gli studi mostrano ad esempio che il cromosoma in eccesso provoca una diffusa disregolazione dell’espressione genica, ovvero il processo mediante il quale il codice genetico viene trasformato in proteine utilizzabili dal corpo. E questa disfunzione riguarderebbe non solo il cromosoma 21 ma anche gli altri. La conseguenza è che numerosi e delicati processi biochimici che regolano il funzionamento del nostro corpo sono sbilanciati. Alle volte di un particolare composto non ce n’è abbastanza, altre ce n’è troppo. Questi squilibri riguardano soprattutto la presenza di certi enzimi che provocano nel copro uno “stress ossidativo”, comportando un invecchiamento precoce e la degenerazione, inclusa la perdita di neuroni nei bambini e un alto tasso di insorgenza di forme di demenza simili all’Alzheimer negli adulti.
Lo stress ossidativo può essere trattato con composti antiossidanti, perché il corpo da solo non ne produce abbastanza. Ma, denunciano i Buchanan, i medici tendono a sottovalutare questi problemi per il fatto di considerare la Trisomia 21 semplicemente come una condizione genetica per la quale non ci sono cure.
Allo stesso modo, molti genitori sono a disagio di fronte all’idea di curare questa condizione, perché per loro significherebbe ammettere che i figli hanno qualcosa di sbagliato. Diverse associazioni che si occupano di persone con Sindrome di Down cercano di allontanare i discorsi sulle cure, concentrandosi piuttosto sulle questioni sociali.
Per i Buchanan queste riserve fanno perdere di vista la questione centrale, ovvero che in base alla ricerca e alla conoscenze scientifiche finora acquisite è possibile curare in parte la Trisomia 21 e i problemi medici che ne derivano, soprattutto se si interviene subito.
E voi unimamme, che ne pensate di queste teorie? Avevate mai pensato che alcuni problemi che colpiscono le persone con Sindrome di Down potranno essere risolti dalla scienza?
Nel frattempo, le persone colpite da questa sindrome hanno sempre più spazio nella società e riescono a realizzare i propri sogni, come la stilista Madeline o la ragazza francese che ha realizzato il suo sogno di presentare il meteo in tv.
VIDEO: Chi sono le persone con la sindrome di Down
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