“Non si smette di giocare perché si diventa vecchi, ma si diventa vecchi perché si smette di giocare” dice il proverbio. Questo fa capire che noi adulti spesso consideriamo i bambini al pari nostro, un po’ come dei piccoli vecchietti che dovrebbero fare le stesse nostre cose: stare seduti, stare fermi, non alzare mai la voce.
“È sbagliato equiparare i bambini agli adulti, dire che il giusto è ciò che corrisponde alle aspettative degli adulti e ciò che non corrisponde è patologico. Al contrario i bambini devono essere vivaci, disattenti, pieni di pensiero immaginativo e fantasioso, il bambino normale insomma è un bambino un po’ distratto, che vuole muoversi, alzarsi dal banco. C’è un momento di immaturità, che è un momento di crescita” dice il pedagogista Daniele Novara, fondatore del CPP, Centro Pedagogico per la Pace le gestazione dei conflitti.
Al convegno “Curare con l’educazione” , come riportato da Vita.it, che si è svolto recentemente a Milano è emerso forte e chiaro il messaggio: i bambini devono fare i bambini e l‘infanzia non è una malattia.
La tendenza è infatti quella di omologare i bimbi agli adulti e di parametrare i loro comportamenti con i nostri. Appena un bambino fa qualcosa, o è disattento, lo si porta subito dagli specialisti per vedere se ha qualche disturbo del comportamento: “Prima di psichiatrizzare una generazione di figli il buon senso dice di verificare se i basilari educativi sono presenti o se viceversa la confusione pedagogica negli adulti crea disturbi e scompensi nei più piccoli“ dice Novara ad Avvenire.
E ancora: “Messe insieme l’incapacità d’interpretarsi in senso educativo e l’alienazione infantile nei confronti del gioco, della motricità e della natura, si capisce come le difficoltà emotive non appartengano a motivazioni neurologiche, ma prevalentemente a situazioni ambientali dove l’innaturalità della vita impedisce anche il recupero di eventuali ritardi”.
Sono scomparsi infatti dei giochi fondamentali che permettevano lo sviluppo dell’autostima, come campana o nascondino, il gruppo di bambini con cui confrontarsi: oggi i più piccoli sono rilegati spesso dietro ad un tablet o un cellulare, magari vantantosi del fatto che “siano avanti”.
Persino l’amico immaginario, che era molto comune fino a non poco tempo fa, adesso è scomparso: se lo si nomina si porta subito il bambino dal neuropsichiatra.
Novara conclude: “Prima di cercare nei bambini piccoli presunte malattie neuro-emotive e tentare diagnosi sempre più precise, anticipate, definite, occorre avere il buon senso di verificare se la loro educazione è corrispondente all’età e ai bisogni della loro crescita“. Insomma, facciamo fare loro il loro “mestiere” di bimbi.
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