In una delle più grandi tragedie dei nostri tempi, la guerra in Siria, spiccano i gesti di profonda umanità come quello compiuto dal fotografo ventitreenne Abd Alkader Habak.
Sabato scorso Habak si trovava nei pressi di Aleppo per documentare l’arrivo ad Aleppo di convogli di civili provenienti da Foua e Kefraya, villaggi circondati dai miliziani anti Assad.
Si trattava di una sorta di scambio: cittadini e combattenti sciiti sotto assedio nelle zone governate dai sunniti in cambio di sunniti e ribelli.
All’improvviso un’auto con a bordo un kamikaze si è lanciata contro gli autobus che trasportavano i civili facendo 126 morti, tra cui 68 bambini.
Habak si trovava lì vicino ed è stato a sua volta investito dall’esplosione, ma senza riportare ferite. Ripresosi ha cercato subito la sua macchina fotografica notando che era finita vicino a un bambino ferito.
Senza pensarci due volte ha preso tra le braccia il piccolo che respirava a malapena ed è corso verso un’ambulanza.
Lo scatto effettuato da un collega è comparso sui media di tutto il mondo, ennesima testimonianza degli orrori di questa guerra, ma anche del coraggio e della forza di un singolo individuo che sceglie di non piegarsi alla violenza che lo circonda.
Intervistato su Repubblica via WhatsApp, Habak ha spiegato il suo gesto con parole molto profonde: “”nonostante sei anni di guerra indicibile, ho ancora dentro umanità. E quando c’è da salvare la vita di un bambino non faccio certo distinzioni. Chissà, magari un giorno il bambino che ho salvato crescerà e punterà un’arma contro mio fratello o forse mio figlio, ma io rispondo alla mia coscienza e umanità: è l’unica cosa che provo a custodire qui in Siria”.
Habak ha aggiunto che, insieme ad altri colleghi, ha aiutato altre 40 persone di cui però non conosce la sorte.
Il piccolo salvato da lui è stato assistito dal personale sanitario, ma il fotoreporter ignora dove si trovi adesso.
Habak ricorda la recente strage compiuta sui civili con il gas sarin e che l’impotenza di quelle circostanze l’ha motivato a intervenire.
“Mentre scappavo e piangevo sempre più forte, ho pensato al gas sarin che ha soffocato i poveri bambini di Khan Shaykun lo scorso 4 aprile. Quel giorno ho visto tanti piccoli morti, ma sono arrivato tardi e non ho potuto salvare nessuno. Stavolta invece una vita l’ho salvata, il destino ha voluto che io fossi lì”.
In molti hanno definito Habak un eroe, ma lui si schernisce ribattendo di essere solo una persona che fa il suo lavoro nel luogo più pericoloso del mondo.
L’unico consiglio che quest’uomo si sente di dare al mondo, sempre tramite Repubblica, è molto significativo: “restate umani, sempre”.
Unimamme, cosa ne pensate di questa toccante storia e dell’esempio dato da questo giovane siriano?
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