Ragazzo picchiato dal branco per una frase su Facebook (VIDEO)

Il bullismo e il cyberbullismo sono ormai fenomeni preoccupanti, che non devono essere assolutamente trascurati e archiviati come “ragazzate”. Uno dei casi più eclatanti – e forse unici – arriva da Catania, dove un ragazzino di nome Rouben è stato preso di mira per via di un commento che non è stato per niente gradito dai suoi coetanei. L’oggetto della discordia? Agata, non una ragazza come si potrebbe pensare, ma Sant’Agata, la santa patrona di Catania.

Insultato e picchiato dal branco per una frase su Sant’Agata 

Il 22 gennaio Rouben  – che ha 17 anni – aveva infatti postato su Facebook questa frase:

“‘Na statua ca avi occhi e non viri, avi ‘ucca e non para, avi aricchi e non senti. Stati ‘mpazzennu pp’avviriri ‘na statua ca furia pa’ via Etnea?”

che tradotto significa “Una statua che ha occhi ma non guarda, ha bocca e non parla, ha orecchie e non sente. Davvero state scalpitando per vedere una statua che gira per via Etnea?”. Il riferimento era alla processione che si sarebbe svolta il 4 e il 5 febbraio per le vie del centro.

Apriti cielo. Non appena pubblicata la frase – che non aveva restrizioni sulla privacy e quindi è visibile a tutti – ha cominciato a rimbalzare sui social e il ragazzo ha cominciato ad essere preso di mira.

Nel giro di poco tempo si è saputo dove abita, che scuola frequenta, persino il numero di autobus che prende per andare a lezione. Un incubo. Senza contare tutti gli insulti che sono stati riversati sul suo profilo.

E’ intervenuta la madre, anch’essa presa di mira, per aver difeso il figlio, assieme al quale è andata a denunciare tutti gli haters.

Il 1 aprile – dopo alcune settimane che non era uscito di casa – il ragazzo si è concesso una passeggiata assieme a due amiche, ma è stato riconosciuto e aggredito da un gruppo di almeno 5 ragazzi e ragazze. La prognosi è stata di 5 giorni e contusioni ad una spalla.

La storia è finita anche a “Chi l’ha visto?” e la mamma si è fatta intervistare anche su Fanpage.

Isabella Mastropasqua, dirigente dell’ufficio Studi, ricerche e attività internazionali del ministero della Giustizia e una delle massime esperte sul tema del cyberbullismo, dice a Meridionews: “La Rete permette una de-responsabilizzazione collettiva: quelle cose non le stai dicendo direttamente, non sei il solo a dirle, non stai guardando in faccia chi le subisce. È come un linciaggio: se tutti sono responsabili, chi è responsabile?”.

La Mastropasqua sostiene però che anche chi insulta sia una vittima: “Anche chi aggredisce, in un certo senso, è una vittima: di questi tempi, dell’ignoranza, della poca conoscenza degli strumenti. I nativi digitali sanno usare perfettamente, dal punto di vista pratico, tutte le tecnologie. Ma hanno di fronte genitori e insegnanti che, per distanza generazionale, lo sono molto meno. E guidarli è la vera difficoltà“.

Sì quindi ad un supporto psicologico che permetta di affrontare il problema da parte non soltanto della vittima, ma anche di tutta la famiglia, perché il rischio di sottovalutazione è grossa e può causare gravi danni.

Ma occorre soprattutto un’educazione alle nuove tecnologie, sia per i ragazzi che per i genitori.

E voi unimamme cosa ne pensate? Cosa porta i ragazzi, ma non solo, a manifestare tanto odio e violenza nei confronti degli altri? Come vi relazionate con i vostri figli?

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