“Alle mamme non ancora mamme. Ai papà non ancora papà.
E ai bambini che li aspettano per diventare finalmente figli“
Questa la dedica sulla pagina Facebook di Arnaldo Funaro, un papà che ha voluto condividere la sua esperienza raccontando l’attesa della sua bambina.
Un lungo percorso fatto di speranze e preoccupazioni, momenti di ansia e di fiducia. Un’attesa molto simile a quella della gravidanza, solo molto più lunga.
Un papà adottivo racconta come ha “ritrovato” la figlia
Questo papà ha creato una pagina Facebook, “Un bimbo mi aspetta“, una sorta di diario, in cui ha descritto il lungo cammino dell’adozione, tra aspettative cariche di gioie e attimi di sconforto, passaggi burocratici, autorizzazioni, rinvii, pause, ritardi. Fino ad arrivare al momento fatidico dell’incontro con la figlia adottiva.
Bellissimo il post in cui il papà adottivo descrive la sua “ricerca“:
“Buongiorno piccola mia, la nostra storia è iniziata trecentoquindici milioni trecentosessanta mila istanti fa.
Sono tantissimi, eppure posso dirti cosa facevo per ognuno di essi: ti cercavo.Per ritrovarti ho affrontato stregoni mascherati da dottori pronti a passare sul corpo e sul cuore della mamma: pronti a dividerci per sempre da te. Ho superato giudici e tribunali immersi in un sonno profondo sotto due dita di polvere, scavalcato grandi muraglie di documenti, scalato montagne di timbri e sconfitto eserciti di impiegati in trincea dietro sportelli muti e sordi. Ho visitato mille ospedali, superato analisi neurologiche, fisiche, psichiatriche, aghi pungenti e umiliazioni taglienti. Per riportarti a casa ho attraversato deserti di solitudine, temporali estivi nei miei occhi, maree minacciose di rabbia, soffitti bui illuminati solo dal mio sguardo senza sonno. Per riaverti ho attraversato il mondo.
Non ce l’avrei fatta senza la mamma. Lei, un passo dopo l’altro, ci ha portati a un passo da te: lei è la donna che ti rimetterà al mondo.
Mi domando cosa proverai quando ci vedrai. Ti abbiamo spedito un album di fotografie per mostrarti come siamo fatti. Lo so, la mamma è bellissima e io sono brutto, ma tanto devo essere il tuo papà, mica il tuo fidanzato! E poi ho una pancia morbida dove potrai dormire tutte le volte che vuoi senza aver paura di svegliarti di nuovo sola.
La prima volta che sei entrata nella nostra vita eri due semplici asticelle colorate su un test di gravidanza. Non è passato giorno senza che io non abbia pensato a te, anche quando grande appena pochi millimetri hai deciso di lasciarci e rimandare il nostro incontro. E ora eccoci qui, le gambe che tremano, gli occhi lucidi e il cuore incontenibile, in un istituto dal nome impossibile da pronunciare, ma che finora tu hai chiamato casa.
Siamo soli in questa stanza, proprio come lo eravamo quel giorno, quando il dottore che ci ha detto che non eri più nella pancia della mamma, che non eri più con noi.
E ora ho tanta paura. Ho paura che tu decida di lasciarci di nuovo, di scappare via e non farti ritrovare più, perché il tempo passa e quella porta non si apre. Forse hai paura anche tu, piccola Mia, paura di essere abbandonata ancora. E a volte, quando non vogliamo soffrire, è più facile nascondersi dalle persone chi amiamo perché sono quelle che possono farci più male.
Ma se apri quella porta, amore mio, prometto di portarti un milione di volte al parco e un altro milione al mare a fare grandi castelli di sabbia. Se apri quella porta ti prometto centomila feste e diecimila pomeriggi al cinema.
Se apri quella porta, ti prometto mille giri sulle mie spalle e cento sulle giostre.
Se ora apri quella porta, piccola Mia, ti prometto una cosa sola: noi tre non ci lasceremo mai.
Rumore di passi. La maniglia si abbassa e una donna entra nella stanza, sorride e stringe una manina.
I miei occhi scivolano lungo quel piccolo braccio finché non si incontrano coi tuoi.
Io e la mamma ci avviciniamo, spinti da una forza dolce, finalmente senza più ostacoli tra noi.
Non so come, mi ritrovo in ginocchio di fronte a te.
Ci guardiamo come due persone che si vedono per la prima volta, ma che in fondo si conoscono da sempre.
Sollevo una mano.
Sfioro il tuo viso.
Muoio. E rinasco papà.”
Una testimonianza carica di amore e gioia, di quelle che riempiono il cuore.
La pagina di questo papà adottivo è diventata subito seguitissima, coinvolgendo ed emozionando un pubblico sempre più ampio, fatto soprattutto di genitori adottivi. A questa testimonianza online ha fatto seguito il libro, “Un bimbo mi aspetta“ (Log Edizioni, Gruppo Guerini&Associati), incentrato proprio sul tema dell’attesa di un figlio adottivo. Il libro uscirà il prossimo 25 maggio ma alcune anticipazioni si possono leggere già nella pagina Facebook.
Ecco come questo papà adottivo spiega come è arrivato all’idea di un diario:
“Un giorno, durante un incontro con altre coppie in attesa di diventare genitori adottivi, mi sono reso conto che a tutti noi mancava qualcosa che ci rendesse più lucidi davanti a tutte le mancanze dello Stato che per spostare un documento da una scrivania all’altra impiega tre legislature. Più forti in una società che ha trasformato la gravidanza in una malattia e la sua assenza in una condanna. Soprattutto che ci aiutasse a superare il senso di colpa per aver deciso di avere figli troppo tardi, o semplicemente di non riuscire a farne senza alcuna una motivazione. Così ho iniziato a pubblicare tutto sui social network e pian piano tante persone si sono avvicinate, condividendone i contenuti che solo i genitori adottivi possono capire, ma che raccontati così appartengono a tutti”.
Una testimonianza che vuole essere di aiuto a tutti i genitori adottivi che si trovano ad affrontare lo stesso percorso, ma che permette di far conoscere a tutti l’esperienza complessa ma straordinaria dell’adozione di un bimbo.
Arnaldo Funaro e la moglie, dopo due anni di attesa, hanno finalmente adottato una splendida bimba cinese di nome Chen Ya, che in Italia è stata chiamata Mia.
La piccola era stata abbandonata davanti ad un ospedale in Cina. Aveva solo tre giorni. È stata chiamata Chen Ya, che significa “alba elegante, perché è all’alba che è stata trovata”, spiega Arnaldo.
Lo scopo del libro, del diario e della pagina Facebook, ha spiegato questo papà a Repubblica, è proprio quello di “dare coraggio” a tanti genitori adottivi che aspettano molto tempo prima di poter abbracciare un figlio.
“Molti si arrendono ma in fondo a questo percorso ci si può arrivare, si deve sapere questo: è lungo ma alla fine il risultato c’è, c’è una famiglia“.
“L’adozione è come un parto, solo con un travaglio più lungo”, si legge in una delle illustrazioni del libro, realizzate da Michele Marconi, e pubblicato anche su Facebook.
Nel libro, Funaro dà anche alcuni suggerimenti ai futuri genitori adottivi e avverte di seguire tutte le procedure di legge, per quanto lunghe e complesse.
Funaro poi raccomanda di “percorrere la strada senza scorciatoie fuori dalla legalità, perché diventano bugie e segreti che franeranno inevitabilmente sulla vita del bambino“.
I consigli pratici provengono dal sito web del Comitato Adozioni Internazionali. Il libro contiene anche gli indirizzi e i contatti di tutti i tribunali dei minori dove iniziare le procedure per l’adozione.
Un papà adottivo racconta la sua storia: la nostra intervista
Nel frattempo, abbiamo contattato Arnaldo Funaro per porgli alcune domande sulla sua esperienza. Ecco cosa ci ha raccontato.
Avete scelto l’adozione internazionale quando esattamente? Vi eravate informati anche sulla nazionale?
Le due domande vanno di pari passo. Per noi non aveva alcuna importanza adottare in Italia o all’estero (a parte il tema economico che invece può essere determinante per tante coppie e che ci ha spinto a metterci da parte tanti soldi per arrivare in fondo al percorso). L’adozione nazionale non ha tempi certi. Il sistema è stato informatizzato da poco e non completamente (almeno da quanto ho capito io), quindi la scelta delle coppie, per quanto ragionata è nelle mani e nella memoria dei giudici che si riuniscono ogni settimana per assegnare le adozioni.
Abbiamo deciso quindi di andare avanti con l’internazionale che, a fronte di spese enormi e un lungo viaggio, ti dava però, anche psicologicamente, l’idea di vedere prima il sogno realizzarsi.
A quale associazione vi siete rivolti e perché?
Abbiamo adottato col CIFA. Non è stata una scelta facile e le nostre assistenti sociali ci hanno caldamente consigliato di vedere tante associazioni prima di scegliere. Ne abbiamo conosciute moltissime, ma in ognuna di esse c’era sempre qualcosa che non convinceva. Parti dal presupposto che un’associazione vive dei soldi che riceve, quindi devono riuscire a trovare un equilibrio tra il promettere tempi certi e brevi (che brevi non sono mai) e la realtà dei fatti: ritardi, guerre, lentezza della burocrazia nostra e del paese coinvolto e via dicendo. Il CIFA, tra tutte quelle incontrate in quel periodo fu l’unica associazione a non nasconderci niente di tutto questo: motivo per cui ci siamo fidati.
Abbiamo letto che ci sono voluti 2 anni tra l’inizio del percorso e l’arrivo di Mia?
Due anni dall’idoneità. Per fare tutto, partendo dal GIL ci sono voluti in realtà 3 anni e mezzo.
La pagina fb l’hai creata quando esattamente?
Il 2 settembre 2013. Il diario era già iniziato, ma in forma privata. Un giorno, durante un incontro con altre coppie in attesa di diventare genitori adottivi, mi sono reso conto che a tutti noi mancava qualcosa che ci prendesse per mano e ci scaldasse il cuore; qualcosa che ci aiutasse a sorridere di fronte alle domande sciocche di genitori o parenti: “Ma insomma, questi figli quando li facciamo?”. Ci mancava qualcosa che ci rendesse più lucidi davanti a tutte le mancanze dello Stato, che per spostare un documento da una scrivania all’altra impiega tre legislature; più forti in una società che ha trasformato la gravidanza in una malattia e la sua assenza in una condanna. Soprattutto, ci mancava qualcosa che ci aiutasse a superare il senso di colpa per aver deciso di avere figli troppo tardi, o semplicemente di non riuscire a farne senza alcuna una motivazione. Così ho iniziato a pubblicare tutto sui social network e pian piano tante persone si sono avvicinate a questo diario facendolo proprio, condividendone i contenuti che solo i genitori adottivi possono capire, ma che raccontati così appartengono davvero a tutti.
Un’altra domanda è: vi siete sentiti supportati in Italia dalle istituzioni? Se si, in che modo?
Sì. Paradossale dirlo in un mondo dove tutto va a rilento, ma ogni volta che abbiamo bussato, ci hanno aperto. Le nostre assistenti sociali, nonostante fossero sommerse dal lavoro a causa dei tagli consueti che si fanno in Italia, si sono spese per vederci velocemente, mettendo in calendario tutti gli appuntamenti necessari (undici per la precisione).
Perché avete scelto la Cina?
Forse è più giusto dire che è la Cina che ha scelto noi. Per quanto mi riguarda sarei arrivato su Marte. Eravamo combattuti tra vari Paesi, poi una sera, al ristorante cinese, la figlia dei proprietari mi ha dato un biscotto della fortuna a fine serata. Era vuoto e l’ho letto come se in fondo il messaggio fosse lei, la bambina. Così abbiamo deciso e il giorno dopo abbiamo dato mandato al CIFA per la Cina.
Infine, alcune informazioni sul libro “Un bimbo mi aspetta” in uscita il 25 maggio e su come è nata l’idea.
L’idea del libro l’ho avuta lo stesso giorno in cui ho aperto la pagina Facebook. In più, chi lo compra, troverà la carta. Cerco di spiegarmi: Un bimbo mi aspetta è un luogo dove le persone possono entrare. È uno spazio che puoi condividere, consigliare, ma che puoi voler donare attraverso un libro. Una pagina Facebook è una storia che cresce, ma che non puoi chiudere in un cerchio. Un libro sì e percorre intimamente tutta la storia di una adozione nella quale riflettersi.
E voi unimamme, cosa pensate di questa storia? Avete anche voi una esperienza di adozione o conoscete chi l’ha vissuta? Seguirete la pagina e comprerete il libro? Noi si!
Noi vi ricordiamo un’altra bella storia di adozione che vi abbiamo raccontato qualche tempo fa.
VIDEO: Arnaldo Funaro e la moglie raccontano la loro esperienza a Tv2000