Quando i bambini sono molto piccoli – parliamo di neonati – non sono in grado di comunicare il proprio disagio e piangono. La Professoressa Rebecca Slater dell’Università di Oxford che ha condotto una ricerca sui bimbi appena nati, dice: “30 anni fa si credeva comunemente che i neonati non sentissero dolore. Gli interventi venivano eseguiti senza un adeguato antidolorifico, basandosi sulla errata concezione che il sistema nervoso dei bimbi era troppo immaturo per individuare il dolore e anche per gli effetti collaterali che gli anestetici avrebbero potuto avere su di loro”. Ma oggi si sa che non è così. Allora quanto dolore sentono i bambini?
Rebecca Slater e il suo team del dipartimento di neuroscienze cliniche dell’Università di Oxford ha condotto uno studio pilota su 18 neonati a cui è stato prelevato del sangue dal tallone (una procedura comune nei neonati pre termine) e la conseguente validazione di questi risultati su altri 72 soggetti, compiendo in totale 5 studi complessivi.
“Questo lavoro dimostra che le informazioni sul dolore sono trasmesse e processate dal cervello di un neonato, anche se è prematuro“ – dice Slater – “Inoltre suggerisce che i criteri utilizzati per valutare il dolore basati sul comportamento come le smorfie facciali, potrebbero sottostimare l’esperienza di dolore dei bambini”.
Come ci sono riusciti gli studiosi? Attraverso una serie di tecniche non invasive è stato utilizzato un elettroencefalogramma (EEG) che ha determinato la reazione al dolore percepito dei bambini quando vengono sottoposti a degli stimoli uditivi, visivi o acustici.
I ricercatori hanno identificato gli attivatori del dolore, che si differenziano da altri stimoli come le luci lampeggianti, i tocchi sulla pelle o un forte rumore. Inoltre confrontando l’attività cerebrale dei neonati con quella degli adulti, hanno scoperto che molte delle regioni del cervello che si attivano negli adulti in caso di dolore sono attive anche nei neonati.
I ricercatori hanno ammesso che ci sarà bisogno di ulteriori approfondimenti, visto che “nella forma attuale il modello non può essere essere utilizzato per questo scopo“, ma “sviluppando nuovi metodi per misurare il dolore dei bambini, potremmo essere capaci di trovare come possono funzionare nuovi trattamenti per il dolore. Vorrei sperare che questo possa ridurre alcuni disagi a breve termini e alcune conseguenze a lungo termine per l’esposizione al dolore nei primi anni di vita” ha detto Slater.
Meraviglioso, no? Pensiamo ad esempio ai bambini prematuri che devono essere sottoposti a diverse procedure mediche, o ai vaccini. Sapere quanto dolore si prova può aiutare a ridurlo.
E voi unimamme cosa ne pensate?
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