Non sapevo quanto fosse complicato parlare di aborto fino a quando non ci sono passata: un paio di mesi fa, infatti, ho avuto una gravidanza extrauterina e un conseguente aborto tubarico. La gravidanza si è impiantata nella tuba anziché nell’utero e per fortuna non ho dovuto essere operata. Fisicamente si è risolto tutto per il meglio, ma emotivamente è stato piuttosto difficile: nessuno comprende quanto l’aborto lasci un dolore e un segno, anche se eri incinta come me da 6 settimane. Ti senti arrabbiata, impotente, invidi le altre mamme che accarezzano i loro pancioni, ti chiedi “perché a loro è andata bene e a me no?”. Eppure non se ne parla: sembra che la gravidanza debba essere solo perfetta e se accade qualcosa di negativo non si deve dirlo, quasi con vergogna.
Janet Murray, una giornalista e mamma spiega in un video a Internazionale – che s’intitola “Ho avuto un aborto spontaneo: perché non possiamo parlare della perdita di un figlio? – il suo difficile cammino di donna che si è dovuta confrontare con più aborti.
“Il mio secondo aborto spontaneo è avvenuto a causa di un raro caso di gravidanza extrauterina che mi ha reso sterile. In entrambi i casi in cui ho perso il mio bambino, ho dovuto subire un intervento chirurgico in anestesia totale.
Per settimane ho dovuto lavorare e prendermi cura di mio figlio con un feto morto nel ventre.
In una situazione così difficile la mia principale preoccupazione era di non essere di peso agli altri.
Non ho voluto parlarne né con un professionista né con gli amici.
Molte mie amiche erano incinte o stavano cercando di avere un figlio.
Una gravidanza su cinque non viene portata a termine e una donna su quattro vive questa esperienza.
Allora perché è così difficile parlarne?
E’ inquietante il modo in cui la gente si aspetta che le donne debbano affrontare un aborto spontaneo.
I medici consigliano di non annunciare la gravidanza prima delle 12 settimane, neanche agli amici o ai parenti più stretti.
Il messaggio è chiaro: se il bambino muore dovete soffrire in silenzio. Non farlo sarebbe egoista.
Ma se non avete detto a nessuno di essere incinte, come fata a dire che avete perso un bambino?
La cultura del silenzio che circonda un aborto spontaneo fa pensare che perdere un figlio sia qualcosa di cui vergognarsi, come se fosse colpa della madre.
Le ore che avreste dovuto impiegare parlando del vostro dolore le passate a cercare una spiegazione.
Forse è colpa di quello che ho mangiato, forse avrei dovuto fare più attività fisica, o meno.
Forse è una punizione per aver fatto o detto qualcosa di male.
Forse non avrò mai un bambino.
La lista è infinita.
Il problema è endemico.
Dopo un aborto spontaneo una donna su 5 presenta livelli di ansia paragonabili a quelli delle persone con disturbi psichiatrici.
Questa situazione non cambierà almeno che non ripensiamo radicalmente il modo in cui affrontiamo l’aborto spontaneo.
Non dobbiamo vergognarci di parlarne.
Prima lo capiremo e meglio sarà”.
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