Le mamme italiane lo sanno benissimo: ogni giorno è una lotta senza fine per cercare di conciliare impegni di lavoro e familiari. Di corsa fino al nido o a scuola dove lasciare il pargolo e poi al lavoro. Ritorno a casa e niente riposo, ma aiutare i bambini con i compiti, accompagnarli alle attività pomeridiane, pulire casa e fare da mangiare. Un super lavoro. Se non ci sono i nonni a dare una mano è durissima. Per fortuna che i giovani padri di oggi sono più collaborativi. Per le mamme però il carico di lavoro resta alto.
Save the Chidren ha pubblicato lo scorso maggio il rapporto 2017 sulle mamme italiane e la loro condizione. Il rapporto si intitola: “Le equilibriste: la maternità tra ostacoli e visioni di futuro”.
Per le mamme italiane la vita quotidiana non è semplice. Tanti sono gli impegni da affrontare, tra famiglia e lavoro. Chi non ha l’aiuto fondamentale dei nonni, combatte tutti i giorni in un Paese dove la maternità non riceve adeguato sostegno dal welfare.
Molte donne per avere figli sono costrette a lasciare il lavoro. Chi lavora e ha figli corre come una pazza tutto il giorno. Pochi sono gli aiuti alle mamme.
Una situazione che tutte le mamme italiane conoscono benissimo, ma che è stata messa nero su bianco, con dati precisi, dal Rapporto 2017 di Save the Children. Ecco cosa ci dicono.
Le donne italiane diventano madri sempre più avanti negli anni (31,7 l’età media al parto). Spesso sono costrette a rinunciare al lavoro e al tempo libero a causa degli impegni familiari e di un welfare che non riesce a sostenere le donne che decidono di mettere al mondo un bambino. Riguardo al lavoro, ricordiamo che l’Italia occupa il penultimo posto nell’UE a 28 Paesi per il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni. Peggio di noi fa solo la Grecia.
La scelta di diventare madre in Italia può pregiudicare la condizione sociale, professionale ed economica di una donna, a seconda della regione nella quale viene nasce suo figlio. Lo rivelano i tre indicatori di cura, lavoro e servizi per l’infanzia della seconda edizione del Mothers’ Index (Indice delle Madri) italiano (elaborato da Save the Children su dati Istat). Il Rapporto segnala squilibri regionali evidenti tra le regioni del Nord, più virtuose, rispetto alle regioni del Sud, dove la condizione delle madri fatica a migliorare.
Il Mothers’ Index regionale consente di valutare per i singoli territori il posizionamento competitivo rispetto alle esigenze di cura, lavorative e di servizi delle mamme. L’indice prende a riferimento 11 indicatori, raggruppati in tre aree, quella della cura, del lavoro e dei servizi per l’infanzia, e si basa su un algoritmo che effettua una media sia parziale per gruppi di indicatori che complessiva delle varie posizioni in classifica registrate dai vari territori.
Gli 11 indicatori si basano su dati Istat.
Rispetto allo scorso anno, il Veneto sale di tre posizioni (dal 9° al 6° posto). Mentre la Sicilia (20°) registra la performance peggiore a livello nazionale, preceduta da Calabria (19°), Puglia (18°), Campania (17°) e Basilicata (16°). Altre regioni hanno invece abbassato il livello delle performance pur mantenendo delle posizioni medie,come Liguria (11°) e Toscana (8°), che perdono ben 3 posizioni rispetto al 2016 o la Puglia che ne perde due.
Come si posizionano le regioni italiani nelle classifiche per ciascuna area tematica o indicatore: cura, lavoro e servizi per l’infanzia.
Il divario tra Nord e Sud Italia emerge anche dai singoli indicatori, presi in esame per ciascuna regione: cura, lavoro e servizi per l’infanzia.
Cura: diversi fattori mettono in corrispondenza i tassi di fecondità delle donne con la distribuzione interna del lavoro di cura del contesto familiare diviso per entrambi i partner con una occupazione. La Lombardia è la regione più virtuosa, e anche quella che, assieme ad Umbria (9°) e Calabria (17°) ha ottenuto un forte miglioramento, dovuto soprattutto ad un abbassamento significativo dell’indice di asimmetria (distribuzione della cura e del lavoro familiare tra donne e uomini). La Sicilia mostra segni di miglioramento esclusivamente per quanto riguarda l’area della cura, nella quale occupa una posizione intermedia (12°).
Lavoro femminile: la classifica conferma a grandi linee quella dell’indice generale, con Trentino-Alto Adige (1°), Valle d’Aosta (2°), Emilia-Romagna (3°) e Lombardia (4°). Questo significa che anche nelle regioni dove l’occupazione femminile è in aumento, i territori non riescono ad essere efficaci nel colmare il divario di genere.
Servizi per l’infanzia: è quell’area che monitora la competitività delle regioni in base agli asili nido e ai servizi integrativi ed innovativi per la prima infanzia offerti. Le regioni migliori sono Valle d’Aosta (1°) e Trentino-Alto Adige (2°). Emblematico il caso della Toscana (4°) che, rispetto alle altre due aree di indicatori, in quella dei servizi all’infanzia si posiziona tra le prime cinque regioni virtuose. L’Emilia Romagna (9°), invece, rispetto al 2016 peggiora la sua condizione sui servizi, abbassando la performance di ben tre posizioni.
Da questi dati, emerge come l’occupazione femminile rappresenti ancora una delle criticità strutturali. Le disparità salariali, i part-time, le riduzioni dell’orario di lavoro, i contratti precari sono spesso le situazioni alle quali le donne devono adattarsi per non perdere il proprio posto nel mercato del lavoro. In questo quadro, la conseguenza più diretta è un abbassamento del livello di qualità della vita che spesso pregiudica scelte familiari e riproduttive. Inoltre, rispetto ai loro colleghi uomini, in Italia le donne vengono pagate meno, una condizione che le rende vulnerabili e a rischio di povertà.
A livello mondiale, sul divario di genere, l’Italia si posiziona al 50° posto complessivo su 144, con una forte flessione rispetto al 2015 quando era alla 41a posizione. Un risultato negativo che riguarda soprattutto gli indicatori relativi al mercato del lavoro e alle opportunità economiche per le donne che lo vedono crollare al 117° posto.
“La condizione delle madri in Italia è ancora critica. Il divario tra Nord e Sud è drammatico e inaccettabile. Ed in ogni caso, anche nelle regioni del Nord, siamo ancora lontani da un modello virtuoso che renda la maternità una risorsa piuttosto che un impedimento. Serve un impegno collettivo delle istituzioni e di tutti i soggetti coinvolti per permettere alle mamme di vivere la gioia della maternità senza rinunciare alla propria vita professionale e sociale”, dice Raffaela Milano Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, l’Organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini in pericolo e a promuovere i loro diritti.
Il rapporto completo lo trovate sul sito web di Save the Children.
Voi unimamme che ne pensate? Vi ritrovate in questo ritratto?
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