Ricordo che quando avevo appena partorito in ospedale nessuno mi chiedeva come stessi: ostetriche e puericultrici mi domandavano solamente se avessi attaccato la bambina al seno. Quando ci ho provato Paola non ne voleva sapere: girava la testa dall’altra parte e io – che ero già provata dal parto – mi arrabbiavo e mi mettevo a piangere.
Possibile che quello che mi avevano dipinto come naturale per me era diventata un’impresa impossibile?
Ognuno mi diceva una cosa diversa: che non avrei potuto allattare, che avrei potuto allattare senza problemi, che avrei dovuto usare un paracapezzolo, che non lo avrei dovuto usare. Mi hanno persino detto che la causa ero io che non mi sforzavo abbastanza. Il mio seno è stato analizzato, schiacciato, guardato, come se fosse un oggetto.
La bambina ovviamente aveva perso perso e io – che a quel punto mi sentivo una madre tremenda – me ne addossavo la responsabilità. Una sera – dopo giorni di angoscia – ho avuto una crisi di pianto: ho detto che non volevo allattare mia figlia e alle mie richieste di ascolto ho potuto finalmente usare il tiralatte. Ogni tre ore me lo tiravo e davo a mia figlia il biberon.
Quando sono tornata a casa ne ho noleggiato uno. Era un incubo: mi sentivo una mucca, in più Paola prendeva il biberon. Mi sentivo di fare una fatica doppia. Intorno a me chiedevo consigli a chiunque, anche alla vicina di casa: purtroppo mi sembrava che mi stessero dicendo che stavo facendo un torto alla bambina. Una mia amica mi ha detto: “Non capisco perché se hai il latte non glielo vuoi dare”. Per quanto avrei dovuto fare quella vita? Il capezzolo si era persino riempito di bolle per il surriscaldamento della tettarella che estraeva il latte.
Ho odiato l’allattamento con tutta me stessa. Prima della nascita di mia figlia mi ero informata moltissimo, ho letto tutto il materiale possibile presente sul sito della Leche League, sapevo come avrei dovuto attaccare la bimba per una perfetta suzione. Ma una cosa è l’immaginazione, una cosa la realtà.
Avevo già avuto un parto difficile, stavo compromettendo anche il rapporto con mia figlia (dopo infatti mi è venuta la depressione post partum).
Per fortuna ho incontrato una pediatra che mi ha ascoltato e che mi ha incoraggiato a smettere di allattare, perché – semplicemente – non faceva per me.
Avevo di fronte a me due possibilità:
Ho scelto la seconda possibilità e nel giro di poco il latte se n’è andato. Per me, lo dico con sincerità, è stata una liberazione.
Con la mia seconda figlia non ho avuto dubbi: ho preso le pastiglie fin da subito.
Io lo so che il latte materno è l’alimento migliore, perché contiene i nostri anticorpi, ma non bisogna far sentire le madri in colpa se non riescono o non vogliono.
L’importante è il legame con i propri figli, stare bene ed essere serene. So di avere fatto la scelta giusta, anche se in molti l’hanno criticata.
E voi unimamme cosa ne pensate?
Intanto vi lasciamo con il post che parla di un latte artificiale molto simile a quello materno.
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