In Italia soffrono di depressione post partum circa il 16% delle neo mamme: si tratta di stime ufficiali quindi è probabile che siano sottostimate in quanto molte decidono di non chiedere aiuto per una svariata serie di motivi, come per esempio:
- vergogna
- pensare di farcela da sole
- sottovalutazione del problema
Le app per la diagnosi della depressione post partum funzionano?
Cosa si può fare quindi per cercare di aiutare le neo mamme a superare questo ostacolo? La tecnologia potrebbe essere un aiuto: in Italia per esempio era stata creata l’app Rebecca Blues, che permette alla mamme di capire se hanno bisogno di aiuto attraverso la compilazione di un questionario – la Scala di Edimburgo – un test autodiagnostico il cui risultato può far capire se si ha bisogno di un sostegno professionale.
A quasi tre anni di distanza siamo andati su google play store e su iTunes dove si poteva scaricare l’app. Abbiamo scoperto che su iTunes non è più disponibile, mentre su google Play l’app è aggiornata al 7 novembre 2014 e sempre su google play c’è scritto che è le istallazioni sono state tra le 100 e le 500.
Anche negli Stati Uniti è stata creata PPD Act una app nata in collaborazione tra Apple e la UNC Chapel Hill , l’Istituto Nazionale di Salute Mentale e il Postpartum Progress per cercare di aiutare le donne. Lo scopo è quello di reclutare sia le persone che attualmente soffrono di DPP sia chi è già guarito per uno studio completo per cercare fattori genetici che potrebbero portare a una migliore prevenzione, diagnosi e trattamento della malattia.
Il suo funzionamento è piuttosto semplice: bisogna scaricare l’app e rispondere alle domande progettate per valutare i sintomi. Se le risposte indicano che si può essere a rischio, si può anche chiedere di poter inviare un campione del proprio DNA. Se è così, verrà inviato un kit per donare la saliva. I creatori stanno inoltre lavorando per ampliare l’applicazione ad altri prodotti Apple.
L’applicazione è uno strumento di ricerca e non è destinato a sostituire la diagnosi clinica, ma i ricercatori sono ottimisti sul fatto che le informazioni raccolte non solo aiutano a comprendere meglio la DPP, ma anche rendono più veloce e facile la diagnosi.
Certamente le intenzioni sono ottime: l’app è nata nel 2016 e nel frattempo è stata utilizzata da molti utenti? Su iTunes c’è un solo commento di un utente che dice “Era disposta a farlo, perché sembrava una grande idea. Questo fino a quando non mi hanno richiesto il numero di telefono, come se non ci fossero abbastanza operatori di telemarketing. Inoltre non mi piace l’idea di inviare il mio DNA attraverso la posta a qualcuno che non conosco”.
Il sito dello studio dice che vuole arrivare a 100mila donne per poter raggiungere dei risultati inconfutabili tra Regno Unito, Australia, Danimarca, Stati Uniti e Canada e comparare questi DNA con quelli di donne che non hanno sofferto di depressione al fine di scoprire eventuali fattori genetici che potrebbero aiutare nel predire, diagnosticare e trattare questa malattia. Su Play Store però le installazioni sono tra le 100 e le 500.
Funzionano davvero quindi queste app per aiutare le donne a cercare aiuto? A vedere questi dati sembrerebbe di no o almeno che è molto difficile riuscire ad andare contro la resistenza culturale.
Se una donna scarica una app del genere è come se si stesse dicendo che è malata e che ha bisogno di aiuto. Una donna che soffre di DPP generalmente non ha alcuna voglia di chiederlo o se lo fa è perché è spinta dal marito o dalla madre. In un momento considerato da tutti bello come è possibile sentirsi infelici? E’ troppo difficile da accettare.
Bisognerebbe capire come utilizzare la tecnologia in modo che sia davvero utile, ma forse la strada è ancora lunga.
E voi unimamme cosa ne pensate? Usereste una app per aiutare nella diagnosi e nella cura della DPP?
Intanto vi lasciamo con il post che riguarda la depressione post partum: sicuri di sapela riconoscere?