Chi sono i cosiddetti Millennials? Sono i giovani nati intorno all’anno 2000, ragazzi e adolescenti dei nostri tempi. Di solito si fa risalire l’inizio di questa generazione intorno alla metà degli anni ’80. Molti di loro quindi sono giovani uomini e donne già sopra i trent’anni.
Alcuni esperti hanno analizzato questa generazione e il risultato sono giudizi non proprio lusinghieri. Tuttavia non è sempre colpa di questi ragazzi.
In Italia abbiamo tassi spaventosi di Neet (Not in education, employment or training), ovvero giovani con non studiano né lavorano. Sono il 19,5% dei giovani tra i 15 e 24 anni, il tasso più alto d’Europa (dati da un’indagine 2017 sull’occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata in questi giorni). Non studiano, non seguono corsi di formazione non lavorano e nemmeno cercano un lavoro. Stanno in attesa. Non sempre si tratta di giovani pigri o svogliati. Spesso sono ragazzi demotivati e scoraggiati, in un Paese che fa molto poco per i giovani e non costruisce nulla per il loro futuro. Così c’è chi scappa all’estero e chi si arrangia.
Mentre la politica è sorda su questo dramma, da qualche tempo si è acceso il dibattito sui Millennials, i ragazzi e giovani adulti di oggi, alle prese con una società schizofrenica, ingiusta e dal futuro precario. Dove spesso purtroppo impegno, buona volontà e costanza non sempre vengono premiati in modo adeguato.
I Millennials oltre a dover fare i conti con questo tipo di società che gli adulti gli hanno lasciato in eredità si trovano a fare i conti anche con carenze educative che non li aiutano di certo ad affrontare i difficili problemi e le sfide di oggi.
Spesso vengono accusati di essere pigri e svogliati, di non avere pazienza né determinazione nel perseguimento degli obiettivi, di volere tutto e subito e alla fine di non riuscire mai a trovare soddisfazione nella vita, né in quella sociale e affettiva né in quella lavorativa.
Un grosso problema che è stato affrontato anche da Simon Sinek, brillante autore e motivatore britannico-americano, che ha all’attivo diversi libri di successo, finiti alla ribalta negli Stati Uniti. Da noi è meno conosciuto ma è un personaggio che ha molto da dire, come potete ascoltare (e leggere) nel video che segue:
Simon ha avuto un giudizio piuttosto impietoso nei confronti dei ragazzi nati dalla metà degli anni ’80 in poi, definiti come viziati, impazienti, insicuri e alla fine infelici. Tuttavia, lo scrittore ha precisato che non è colpa loro, ma di un’educazione sbagliata da parte dei genitori, le gratificazioni immediate a cui sono abituati, i social media come mondo sicuro dove trovare tutto quello che si cerca senza troppo sforzo ma in un ambiente illusorio e il mondo del lavoro che li considera solo come numeri.
Questi ragazzi vengono abituati fin da piccoli ad ottenere tutto quello che vogliono senza sforzo, senza imparare la pazienza, la fatica, il dolore e anche la frustrazione per ottenere qualcosa. Non sono abituati all’idea di fallimento perché anche quando non vincono una gara, c’è sempre il premio di consolazione. Spesso ottengono a scuola voti immeritati, perché i loro genitori fanno pressione agli insegnanti.
Vivono le relazioni con il filtro dei social, dove è facile eliminare con un click chi non piace. Così come è facile ottenere popolarità con qualche bella foto. Un mondo illusorio quello dei social dove anche la persona più depressa del mondo può mostrare e far credere di avere una vita piena di soddisfazioni. Con i social i ragazzi non sono costretti ad imparare quelle abilità e modi di relazionarsi a cui si è costretti nel mondo reale.
Grazie ad internet e alle app si può ottenere subito quello che si vuole: musica, film serie tv. Non c’è bisogno di aspettare, ma non c’è nemmeno il gusto dell’attesa e della ricerca.
Poi, però, quando si esce nel mondo reale, delle relazioni sociali e del lavoro, nascono i primi problemi. Non ci sono i genitori che intercedono con i datori di lavoro per i propri figli, almeno non come a scuola. Non ci sono app o click dei social che aiutano ad eliminare chi non piace. Si è costretti ad avere a che fare con situazioni spiacevoli e frustranti. E spesso i ragazzi non hanno la pazienza per affrontarle.Vogliono “lasciare un segno“, ma nemmeno loro sanno bene cosa questo significhi o comporti. In ogni caso non sanno come fare e per questo motivo sono infelici.
Le carenze educative di base e l’illusione del tutto facile e immediato dei social fanno sentire il loro peso. Non aiutano, anzi complicano i problemi dei ragazzi nello scontrarsi con le difficoltà. E spesso questa inadeguatezza rende i problemi più grandi di quello che sono.
La “colpa” non è solo delle famiglie che non educano i figli o dei social. Anche il mondo del lavoro di oggi ha le sue responsabilità. Per molte aziende i giovani sono solo un numero da spremere il più possibile e da cui pretendere tutto e subito. Spesso con pretese esasperate che aumentano le frustrazioni dei giovani. L’impazienza, l’illusione dei social e le pretese del mondo del lavoro possono creare grossi problemi ai ragazzi nell’affrontare le difficoltà e i fallimenti della vita. Al volte il senso di impotenza può spingere i ragazzi al suicidio.
Simon Sinek invita i giovani a lasciar perdere lo smartphone, a non dipendere troppo dal telefono. Lasciarlo a casa quando si esce con gli amici e fuori dalla sala riunioni del lavoro. Bisogna cercare di interagire di più con gli altri dal vivo, senza telefono. Perché la dipendenza dallo smartphone è simile ad ogni altra dipendenza, come quella da alccol.
L’intervento di Simon Sinek (in inglese, ma sottotitolato) è stato pubblicato sula pagina Facebook di Efficacemente.
Voi Unimamme che ne pensate? Siete d’accordo con Simon Sinek?
Noi vi ricordiamo il nostro articolo: Un papà inventa un modo geniale per dare ai ragazzi una “via di fuga”.
VIDEO: Simon Sinek al Ted (sottotitoli in italiano)
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