L’esclusione sociale non è da sottovalutare, può causare una importante sofferenza psichica e scatenare comportamento anti sociali o di chiusura verso il mondo. Quando colpisce bambini e ragazzi, poi, è un problema molto serio. I ricercatori si sono interrogati sugli affetti dell’esclusione sociale, studiando gli effetti che ha sul cervello e le reazioni che provoca.
L’esclusione sociale, ovvero l’isolamento di una persona da un gruppo o da una attività di gruppo, è un fenomeno complesso e ambiguo. Provoca uno stato emotivo di delusione e di disagio e anche una sofferenza molto simile a quella fisica. Ognuno reagisce all’esclusione a suo modo, esistono tuttavia delle condizioni comuni a tutti, che si manifestano nel nostro cervello. Gli studiosi le hanno analizzate. In particolare il ricercatore giapponese Taishi Kawamoto, che ha elaborato un modello.
L’esclusione sociale significa essere isolati fisicamente o emotivamente, quando si è completamente soli oppure si viene ignorati dagli altri. Quando si viene esclusi da un ambiente o da un gruppo di persone si provano sentimenti negativi e in alcuni casi un vero e proprio dolore. Queste reazioni molto probabilmente sono dovute al fatto che l’essere umano è un animale sociale, spiega Kawamoto, è fatto per stare insieme ad altri essere umani. Così l’evoluzione ci ha selezionati. Le sensazioni che proviamo in caso di esclusione sociale sono dunque un allarme lanciato dal nostro cervello per segnalarci che qualcosa non va.
Quando si verifica una forma di esclusione sociale, l’escluso prova un dolore che viene definito “dolore sociale” ed è molto simile a quello fisico, perché vengono coinvolte le stesse aree del cervello. Lo hanno accertato precedenti studi di neuroscienza, esaminando alcuni individui nelle dinamiche di gruppo e di esclusione sociale. Durante gli esperimenti sociali gli individui sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging), per studiare le reazioni del loro cervello.
Lo scanner della risonanza magnetica ha individuato le aree del cervello che si attivano in presenza di esclusione sociale di una persona. I ricercatori hanno scoperto che in presenza di esclusione sociale si attiva la dorsale della corteccia cingolata anteriore (dACC, dorsal anterior cingulate cortex), un’area del cervello dove vengono elaborati a livello inconscio i segnali di pericolo e che funziona come una sorta di sistema di allarme. Questa stessa area si attiva in presenza di dolore fisico. Dunque dolore fisico e sociale possono considerarsi simili. In realtà il rapporto tra queste due forme di dolore è più complesso e ancora oggetto di studi da parte dei ricercatori.
Per analizzare gli effetti dell’esclusione sociale sul cervello, Kawamoto e il suo team hanno elaborato un modello di processo intrapersonale e interpersonale dell’esclusione sociale. Il modello descrive cosa accade nel cervello e quali sono i comportamenti conseguenti all’esclusione sociale.
Quando veniamo esclusi il cervello svolge queste tre funzioni:
dell’esclusione sociale. Le prime due funzioni di rilevazione e valutazione funzionano come una specie di sistema di allarme, segnalando la presenza di un problema. Durante l’esclusione sociale queste funzioni rilevano e valutano un problema legato alle relazioni sociali. Il dolore sociale provato fa parte del meccanismo di valutazione, è anche questo un segnale di allarme. Entrambe le funzioni di rilevazione e valutazione dell’esclusione sociale attivano la dorsale della corteccia cingolata anteriore (dACC) e scatenano il dolore sociale.
C’è poi un’altra area del cervello che invece si attiva per ridurre il dolore sociale ed è la corteccia prefrontale ventrolaterale (VLPFC, ventrolateral prefrontal cortex). Questa zona del cervello ha il compito di regolare il suono del sistema di allarme, che è scattato con l’esclusione sociale, affinché non sia troppo forte. L’intensità dell’allarme, ovvero del dolore sociale, dipende dal tipo e dalla durata dell’esclusione. Durante una esperienza di esclusione sociale, il nostro cervello rileva, valuta e regola il dolore sociale.
Un altro metodo per studiare come il cervello umano reagisce all’esclusione sociale è il potenziale evento-correlato (ERP event-related potential), ovvero una è una risposta cerebrale misurabile, che è il risultato di un pensiero oppure di una percezione e si misura con la elettroencefalografia (EEG). Un sistema questo che premette di identificare i processi cognitivi legati all’esclusione sociale in tempi molto rapidi (in millisecondi)
Entrambe le tecniche della risonanza magnetica funzionale (fMRI) e del potenziale evento-correlato (ERP) permettono di conoscere cosa accade nel cervello in risposta a ciascuna fase dell’esclusione sociale in un tempo brevissimo così come è possibile verificare cosa accade nel cervello durante un’esperienza completa di esclusione sociale.
Anche gli studi basati sul potenziale evento-correlato hanno evidenziato le tre fasi di rilevazione, valutazione e regolazione della esclusione sociale.
Inoltre, entrambe le tecniche di analisi hanno evidenziato che le tre fasi cambiano nel corso del tempo. Gli individui esclusi hanno mostrato maggiori processi di rilevazione e valutazione all’inizio dell’esclusione sociale, mentre il processo di regolazione era più forte nelle fasi finali. Queste scoperte mostrano che il cervello reagisce in modo differente all’esclusione sociale nel tempo.
All’esclusione sociale gli individui possono reagire in modi differenti. Gli individui esclusi tendono a migliorare il proprio sistema di monitoraggio sociale (SMS, social monitoring system) per determinare come comportarsi. Prestano maggiore attenzione a quelli che potrebbero essere i sentimenti e i pensieri degli altri.
Nel sistema di monitoraggio sociale sono coinvolte le aree del cervello associate alla comprensione del pensiero e delle credenze altrui e sono coinvolti anche i processi cognitivi correlati all’attenzione e alla ricognizione facciale. Sulla base di queste rilevazioni le persone decidono come reagire in presenza di una esclusione.
Le reazioni possono essere tre:
Nel primo caso, se gli esclusi trovano un atteggiamento favorevole negli altri tendono a costruire una relazione e a ristabilire delle connessioni.
Se non hanno nessuno a cui rivolgersi e la loro esclusione è totale, le persone possono aiutarsi da sole attraverso delle rappresentazioni mentali associate a sentimenti positivi e di connessione, come i ricordi sulle persone di famiglia o i pensieri positivi sui loro personaggi preferiti, che possono aiutarli a ridurre il dolore sociale.
Nei casi più gravi e in presenza di un ambiente o persone ostili, gli esclusi possono reagire con comportamenti antisociali e aggressivi. In genere, le persone affrontano l’esclusione sociale a seconda delle situazioni.
Le persone tendono poi a fare tesoro delle esperienze fatte e a regolare sulla base di queste le loro reazioni future. Le persone che da piccole hanno provato una esperienza precoce di esclusione sociale, da parte dei genitori o delle persone che avrebbero dovuto occuparsi di loro, possono soffrire di ansia da attaccamento o al contrario rifiutare i rapporti. Le persone che evitano di legarsi ad altre spesso vengono da una esperienza di esclusione sociale cronica, da parte di chi avrebbe dovuto occuparsi di loro e aiutarli a sentirsi accettati.
Questa situazione ci fa pensare subito all’importanza dell’attenzione e dell’inclusione che i genitori devono esercitare verso i figli.
Lo studio è stato pubblicato su Frontires for Young Minds. Kawamoto T (2017) What Happens in Your Mind and Brain When You Are Excluded from a Social Activity?. Front Young Minds. 5:46. doi: 10.3389/frym.2017.00046
Voi unimamme che ne pensate? Fate in modo che i vostri bambini e ragazzi non vengano esclusi in famiglia e nelle situazioni fuori casa?
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