Quando andavo a scuola era mio padre che mi seguiva con i compiti: più che altro me li controllava e se c’era qualche cosa che non riuscivo a fare mi aiutava (questo solo per le elementari e non sempre). Man mano che sono cresciuta sono diventata sempre più autonoma e in ogni caso, visto che i miei genitori lavoravano entrambi, avrei dovuto per forza trovare un metodo se non avessi voluto essere bocciata. Insomma, la scuola era una mia responsabilità, non avevo nessuno – come giusto che fosse – che mi aiutasse nel mio percorso. Se andavo bene era solo per merito mio, così per i brutti voti. Oggi invece si assiste ad una tendenza opposta: l’eccessiva presenza genitoriale che pone una grande sfiducia nell’istituzione scuola e provoca gravi danni nei figli. Vediamo perché.
I genitori di oggi tendono infatti a proteggere senza motivo i figli, soprattutto perché hanno paura che non primeggino in tutto ciò che fanno. Sebbene infatti sia auspicabile il coinvolgimento delle famiglie, questo – a volte- può essere il male assoluto. Le ingerenze genitoriali infatti non permettono ai ragazzi di crescere, soprattutto nello studio, in cui devono imparare ad essere autonomi e indipendenti.
Nel 2014 i sociologi americani Keith Robinson e Angel L. Harris pubblicarono sul New York Times gli esiti di una loro ricerca in cui si analizza gli effetti del “parental involvement”, l’intervento genitoriale appunto, a scuola. “La maggior parte delle forme di coinvolgimento dei genitori come osservare i corsi dei figli, contattare la scuola per sapere come si comportano, aiutarli a decidere il loro percorso scolastico o dargli una mano a fare i compiti a casa, non migliorano i loro risultati. Anzi, in qualche caso addirittura li ostacolano”. Invece che aiutarli, si mina l’autostima dei propri figli e mancando la fiducia mancano anche i risultati, malgrado magari il tempo e i soldi spesi per migliorare l’andamento scolastico.
Anche da noi la situazione non è da meno ed è aggravata dalla presenza della tecnologia, che invece di aiutare ostacola: dalle temute chat di Whatsapp ai registri elettronici. Insomma un controllo forse eccessivo che crea ancora più problemi, allontanando sempre di più l’età della emancipazione a quella in cui – almeno anagraficamente – si dovrebbe essere maturi già da un bel po’ (in Italia è attorno ai 30 anni).
La soluzione allora quale potrebbe essere? I due sociologi suggeriscono, come si legge su Linkiesta, che i genitori “dovrebbero preparare il terreno e poi lasciarlo”, vale a dire che i genitori non devono facilitare la vita ai figli, ma fornire loro gli strumenti per affrontare la vita, anche a costo di sbagliare.
E voi unimamme cosa ne pensate?
Intanto vi lasciamo con il post che parla di giovani viziati e insoddisfatti: gli errori dei genitori e della società.
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