Devo dire che mi sento sempre un po’ a disagio con gli altri genitori. E questo non perché voglia fare la snob o la supponente, ma perché non mi piace la piega che ha preso ogni aspetto della vita dei nostri figli.
Ai bambini non viene chiesto di fare i bambini, ma di essere performanti: di essere bravi – anzi i più bravi – a scuola e di primeggiare nello sport. Non c’è spazio per il divertimento, per la gioia di stare insieme ad altri, di non pensare sempre e solo al risultato. Quest’anno Paola ha deciso di andare a danza: l’ha chiesto lei e l’unica cosa che conta è che stia bene. Non m’interessa che diventi la nuova Carla Fracci: basta che sia felice.
Credo che molti la pensino come me, eppure tanti altri si sentono rappresentati e contenti solo dai successi dei propri figli.
Il famoso detto “l’importante è partecipare, non vincere” sembra non valga per i tanti genitori che iscrivono i bambini a delle attività sportive perché spinti dalle ambizioni o dalle pressioni che subiscono dalla società. Tra le ambizioni genitoriali che vorrebbero solo dei figli campioni e le frustrazioni mancate, i bambini non si sentono liberi di esprimere sé stessi. Per esempio magari preferirebbero fare atletica piuttosto che nuoto, oppure ginnastica invece che danza. Anche se sono piccoli esprimono le loro preferenze e bisognerebbe imparare ad ascoltarli un po’ di più.
Come me la pensa anche una mamma giornalista, Julie Suratt, che sul Bostonmagazine ha raccontato di come suo figlio Finn fosse interessato ad imparare a suonare il Corno francese, così i genitori gli hanno preso lo strumento e lo hanno iscritto ad una scuola di musica, scoprendo poi che non era molto portato. Il direttore della scuola di musica ha infatti suggerito in una mail ai genitori di far seguire il figlio da un maestro privato. La prima reazione di questa mamma e del marito è stata quella di pensare che per il figlio era giusto fare il massimo, anche se costava molto. Poi però col marito hanno capito che lo scopo era far divertire il figlio e non farlo diventare il numero uno con il Corno francese.
Purtroppo spesso i genitori si perdono nella competizione: si aspettano che i figli siano i migliori e dimenticano ciò che davvero è importante per i bambini, ossia divertirsi.
Adam Naylor, uno psicologo sportivo alla Boston University, racconta di aver visto tantissimi giocatori al college che erano nelle squadre non per passione, ma perché obbligati. Sono stati allenati per la maggior parte delle loro vite e una volta arrivati al college far parte della squadra era un “dovere” o un “automatismo”.
Molti genitori potrebbero chiedersi cosa c’è di sbagliato nel volere i nostri bambini eccellere? Il problema è che molti adolescenti oggi soffrono di depressione e ansia perché spinti a ricercare la perfezione. E, non scordiamo poi che il suicidio sta diventando sempre di più causa di mortalità tra i più giovani.
Ecco perché bisognerebbe anche permettere loro di sbagliare: ad esempio se si iscrivono ad un corso e poi non gli piace, devono essere liberi di cambiare idea. Non devono per forza continuare ad andarci se non vogliono, se non si trovano bene con l’insegnante o non gli piacciano i compagni. Al contrario devono continuare ad andarci anche se non sono i più bravi, basta che siano contenti. Non importa il livello raggiunto, importa come ci si sente.
A volte noi adulti tendiamo a dimenticarcelo, presi come siamo dall’agonismo e dalle mancate nostre ambizioni non coltivate. Non possiamo riversare sui nostri figli un passato che non abbiamo avuto o i sogni che non abbiamo realizzato. Loro non sono noi. E anche se non vincono gare o collezionano premi, ricordiamo ciò che è importante con i nostri bambini: come giustamente detto da Julie il nostro obiettivo è che crescano in un ambiente in cui va bene non riuscire e va bene riprovarci, rimanendo sempre gentili, onesti e leali.
E voi unimamme cosa ne pensate?
Intanto vi lasciamo con il post che parla del perché sia sbagliato far vincere i bambini quando si gioca.
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