Ultimamente ho ripensato spesso al mio aborto. A marzo infatti ho avuto una gravidanza extrauterina e da allora ho capito che cosa significa vivere una perdita.
Il lutto perinatale però è strano: ha una dignità solo per chi ne viene colpito, mentre attorno sembra che non sia accaduto nulla. Io per esempio ero solo di 6 settimane, ma se tutto fosse andato bene si sarebbe sentito il cuore, il principio di vita. Ho dovuto espellere quello che per me è e sarà sempre il mio bambino da sola, in bagno, in un assorbente. E’ stato bruttissimo. Per non parlare del fatto che ho dovuto aspettare la conferma di un aborto seduta accanto a donne che andavano a fare le ecografie dei loro bimbi. Loro avevano la vita in sé, io la morte.
Dal punto di vista fisico sono stata abbastanza fortunata, perché non ho perso la tuba come sarebbe potuto accadermi con l’extrauterina, ma da quello emotivo per diverso tempo mi sono sentita a terra. Mi sono sentita dire un’infinità di volte che la vita va avanti, che bisogna passare oltre. Ed è ovvio che sia così: il tempo scorre e anche solo per il fatto di essermi dovuta occupare delle mie figlie, mi ha distolto un po’ dal mio dolore. Ma non del tutto: c’è sempre un mal di testa che mi accompagna, che mi fa pensare a quel bimbo che non avrò più e che è esistito solo per me e per mio marito.
Ora va molto meglio: sono andata in terapia, ne ho parlato fino allo sfinimento e credo che il peggio sia passato. Non nego di avere un sussulto ogni volta che vedo una donna incinta: non abbandono però il sogno di una famiglia numerosa e spero di poter avere il mio bimbo “arcobaleno”.
E’ un processo lungo, quello di elaborazione del lutto. Ripensi sempre a come sarebbe potuto essere: di recente ho incontrato un’amica che ha la data presunta del parto una settimana dopo a quando l’avrei dovuta avere io. Lei partorirà, io no. A volte m’immagino con la pancia che potrei avere a quest’ora, a volte mi dico che saremmo potuti essere quasi in tre.
E’ dura, ma credo che comunque ce la si possa fare. Io penso di avercela fatta, anche se qualche volta vengo presa dalla malinconia. Sono riuscita ad andare avanti e a non considerare quello che mi è successo solo come una disgrazia, ma un modo per diventare ancora più forte.
Ho scoperto un concetto buddista che mi piace molto: hendoku-iyaku, ovvero “trasformare il veleno in medicina”, la capacità di riuscire a capovolgere un evento doloroso in qualcosa di positivo, che da forza.
Per me l’aborto – e prima la depressione post partum – hanno rappresentato la capacità di avere fiducia in me stessa, cosa che prima non avevo assolutamente. Mi sbagliavo: ora so che posso contare su di me.
E voi unimamme cosa ne pensate?
Intanto vi lasciamo con il post che parla di una mamma che parla con onestà dopo il suo aborto spontaneo.
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