Quando andavo al liceo, avevo una Preside che non si faceva amare particolarmente dagli studenti per i suoi modi forse troppo severi. Con il tempo e l’età l’ho di sicuro rivalutata, perché ci ha insegnato il rispetto per le regole e il sapersi comportare a seconda dei luoghi in cui ci si trova. Per esempio se qualcuno non era vestito in modo adeguato alle lezioni lo rimproverava (davanti a tutti) ed è anche capitato che lo rispedisse a casa.
All’epoca – sto parlando di quasi 20 anni fa – non c’erano genitori che minacciavano querele e denunce per le decisioni dell’autorità scolastica e – anche se sbuffando – poi si faceva come diceva lei.
Ricordo che le ragazze non potevano indossare gonne troppo corte o magliette che lasciavano scoperte l’ombelico, mentre i ragazzi non potevano venire a scuola in bermuda o in ciabatte (sì, c’era qualcuno che si era azzardato a farlo).
Mi sembra molto simile a ciò che ha stabilito una preside di una scuola di Rimini.
La professoressa Sabina Fortunati, Preside dell’istituto Da Vinci Belluzzi di Rimini, intervistata dal Corriere ha elencato una serie di regole che impone con successo nella “sua” scuola.
No a jeans e magliette strappati, no alle canotte, alle ciabatte a ai pantaloni corti, e no ai cappellini.
“Decoro e rispetto vanno recuperati. Forse abbiamo allargato le maglie un po’ troppo, e invece gli studenti devono ricordare che la scuola è un’istituzione pubblica, dove si trasmettono valori e si educa ai principi“.
Questo non significa che la scuola debba dare dei suggerimenti estetici, ma che semplicemente esistono luoghi deputati per vestirsi in un determinato modo: “I ragazzi devono capire che ogni luogo comporta un atteggiamento adatto, che esistono contesti formali e informali, in base ai quali si sceglie come vestirsi. E che la cura della persona è la prima presentazione“.
Stabilire un abbigliamento consono è stata un’esigenza dei docenti, ma anche della stessa professoressa: “anche a me è capitato di vedere nei corridoi studenti con jeans a cui mancavano pezzi interi, e mi è venuto spontaneo chiedere loro: li avete pagati con soldi interi o bucati?”.
Forse però l’educazione passa anche dalla famiglia, visto che certi genitori non sono da meno dei figli: “Il dialogo tra scuola e famiglia è importante, e noi infatti cerchiamo la collaborazione dei genitori per far capire agli studenti che un abbigliamento può andar bene per accompagnarli a scuola ma magari non per parlare col preside“.
A differenza della mia Preside, lei però non ha mai cacciato nessuno: “Al massimo ho dovuto sopportare che masticassero la cicca, cosa fastidiosissima: ma sono stata brava, sono riuscita a stare zitta”.
E voi unimamme? Quando andavate a scuola avevate delle regole da seguire sul modo di vestirsi? E lo fate seguire ai vostri figli?
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