Quando si cerca una gravidanza, è molto importante cercare di conoscere il proprio periodo fertile, valutando quando avviene l’ovulazione e, di conseguenza, incrementando le percentuali di successo del concepimento.
Ebbene, anche se non è possibile stabilire con esattezza il culmine della propria fertilità, con la conoscenza adeguata del “funzionamento” del proprio corpo e del ciclo mestruale, è concretamente possibile aumentare le probabilità di rimanere incinta. Vediamo dunque insieme come procedere, e come poter calcolare con congruità il proprio periodo fertile.
Per poterne sapere di più sulla corretta individuazione del proprio periodo fertile non possiamo che partire con la precisazione che con tale termine si intendono i giorni in cui la donna ha compiuto l’ovulazione e, dunque, può favorevolmente avvenire l’incontro tra l’ovulo e lo spermatozoo. Di norma questo periodo riguarda i cinque giorni a cavallo tra quelli immediatamente prima e quelli immediatamente dopo il giorno dell’ovulazione.
Da quanto sopra ne deriva altresì che stabilire il momento dell’ovulazione è determinante per i nostri fini. Vediamo insieme come.
Per aiutarsi nell’individuare l’ovulazione e il periodo fertile, in caso di ciclo tendenzialmente regolare (pertanto, della durata di 28 giorni) ci si può aiutare con un po’ di matematica.
In particolar modo, la prima settimana subito dopo il ciclo non è fertile, mentre è dalla seconda settimana che qualcosa – in questi termini – inizi a cambiare: dal decimo giorno in poi il periodo si fa più interessante, per collimare poi nella terza settimana, che è quella nella quale si concentreranno i giorni più fertili (sono quelli tra il 14mo e il 18mo giorno dopo il ciclo, da segnare sul proprio calendario). Superato questo frangente temporale, ed entrati pertanto nella quarta settimana del mese (che è quella che precede l’arrivo delle mestruazioni), la propria fertilità diminuisce drasticamente, considerato che il processo di ovulazione è da intendersi concluso.
Se si è tenuto in considerazione quanto sopra premesso, e ci si è sufficientemente “concentrate” sul periodo in questione, è molto probabile che si attenda con particolare ansia le settimane successive, al fine di comprendere se si è efficacemente o meno approntata una nuova gravidanza.
Spesso, però, i “sintomi” iniziali di una gravidanza vengono interpretati erroneamente o, meglio, vengono confusi con i sintomi tipici della sindrome premestruale, che comprende una serie di segni ciclicamente manifestati nei giorni che precedono le mestruazioni (in media, una settimana prima dell’arrivo del flusso mestruale).
Questi sintomi possono essere più o meno accentuati (è pur sempre un fattore soggettivo), con un’incidenza maggiore per le donne di età compresa tra i 25 e i 45 anni. Per la loro natura e le loro caratteristiche, spesso i sintomi premestruali sono “confusi” con quelli delle prime fasi della gravidanza, anche se con il passare dei giorni (e con l’arrivo del ciclo) diverrà chiara la divergenza tra le due situazioni.
Al fine di chiarire quale sia l’evoluzione del corpo e dei disturbi in questa fase, può esser utile rammentare che tra i principali sintomi vi sono sicuramente le sensazioni di gonfiore al basso ventre, uniti a dolore generalmente lieve, ritenzione idrica, incremento del peso, disturbi del sonno, mal di testa, vertigini, nausea, maggiore consumo di cibo, vampate di calore, meteorismo, diarrea, stipsi. Intuibilmente, non tutti questi sintomi si dovranno necessariamente verificare, così come è chiaro che in alcune donne si verificheranno con maggiore incisività, e in altre saranno invece molto lievi.
Si tenga inoltre conto che tra i principali disturbi premestruali si annoverano anche quelli di natura psicoaffettiva, come la depressione, l’irritabilità, la sensazione di fatica, le variazioni improvvise di umore o la difficoltà di concentrazione.
Così come avviene per quanto attiene i disturbi fisici, anche quelli psicoaffettivi potrebbero non manifestarsi nelle donne, con alcune di esse che non presenteranno alcun problema, e altre – la maggior parte – che ne subiranno gli effetti in misura molto variabile (a volte in modo più intenso, a volte in modo leggero).
Nel novero degli scenari potenziali in questo frangente, si annovera altresì il c.d. “spotting premestruale”, ovvero alcune piccole perdite ematiche che possono macchiare gli slip (da non confondersi con le perdite mestruali vere e proprie) e dovute al fatto che l’endometrio non sempre risponde congruamente alla carenza ormonale, con la conseguenza che può “staccarsi” prima del tempo, con iniziale sanguinamento, comunque non abbondante e tendenzialmente marrone.
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