Nuovi studi scientifici hanno descritto i diversi modi di piangere e quanto sia importante in generale il pianto negli esseri umani. Ecco le nuove scoperte.
La maggior parte degli animali piange, ma non versa lacrime come facciamo noi umani. Il piangere con le lacrime è tipicamente e unicamente umano.
In inglese per distinguere questi due tipi di pianto si possono usare due verbi differenti “cry” e “weep“.
In inglese cry significa anche gridare, urlare. Ecco perché possiamo identificarlo più con il lamento; mentre weep significa anche versare e si riferisce dunque all’atto del versare lacrime.
Si tratta di due comportamenti molto diversi:
Così scrive nel suo studio Carlo Valerio Bellieni, pediatra e neonatologo dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Siena, che da vent’anni studia il dolore nel bambino e ha pubblicato in New Ideas in Psychology lo studio “Meaning and importance of weeping“, “significato e importanza del pianto”, una importante revisione della letteratura di settore, in cui sono stati esaminati dati e osservazioni sul pianto da più di 70 studi e pubblicazioni di ricercatori che arrivano fino a Charles Darwin.
Dallo studio di Bellieni è emerso, inoltre, che il pianto non è una risposta “lieve” o “debole” allo stress, ma che è un comportamento forte con effetti positivi sulla salute e l’interazione sociale.
Il pianto è uno stimolo non verbale molto forte che proviene dall’occhio, l’organo di senso che è definito lo specchio dell’anima.
Il prof. Bellieni spiega a Repubblica: “Analisi acustiche hanno rivelato che il pianto nasconde un protolinguaggio; oltre una certa soglia di dolore, si attiva il sistema simpatico che tende le corde vocali. Il lamento del neonato diventa costante e acuto, ma soprattutto ritmico: è il cosiddetto pianto a sirena“.
La regolarità del pianto e del singhiozzo dipende da alcune centrali neuronali simili a quelle che regolano la respirazione o la motricità, promuovendo il rilassamento muscolare.
In questi casi si attiva un meccanismo di autosollievo, quello che comunemente chiamiamo “pianto liberatorio“. Questo meccanismo potrebbe essere alla base della secrezione delle lacrime dagli occhi.
Un processo che ancora non è completamente chiaro e sul quale sussistono molte teorie diverse. Alcuni ricercatori sostengono che le lacrime prodotte dallo schiacciamento del sacco lacrimale dipendono dalla contrazione dei muscoli facciali, altri sostengono che servano ad espellere sostanze tossiche o solo ad umettare le mucose di naso e faringe. Secondo altri ancora, le lacrime ci danno la sensazione di farci tornare all’ambiente fluido e rilassante del ventre materno. Nessuna di queste teorie, tuttavia, è convincente, secondo Bellieni.
“Al pari di una seduta di massaggi o di una doccia calda, lo scorrere delle lacrime sulla cute del volto innesca il rilascio di endorfine – spiega il professore – Il pianto non è una forma di rifugio per i deboli, ma una forma raffinata di antistress. Ecco perché vi ricorriamo anche quando siamo soli“. Il pianto, poi, aiuta a stabilizzare l’umore, come hanno dimostrato altri studi, per questo non va represso.
Piangere versando lacrime è un modo per rilasciare un’emozione intensa e allentare la tensione fisica. Quando piangiamo stiamo dicendo al nostro corpo che è il momento di rilassarsi. Questo aiuta a ripristinare in qualche modo il nostro sistema e ad andare avanti.
Il fatto che gli uomini piangano meno delle donne, oltre che legato a fattori ormonali e culturali, può dipendere dal fatto che nell’antichità il volto dell’uomo fosse meno sensibile alle lacrime, per via della barba lunga e della pelle indurita dal sole. Le donne, invece, hanno una pelle più sensibile alle lacrime.
Un ragionamento che si può estendere anche ai neonati, spiega il neonatologo, che non emettono lacrime prima del terzo mese di vita. Prima di questo momento, infatti, i neonati trascorrono quasi tutto il tempo “a diretto contatto con la madre o in posizione orizzontale”, per cui le lacrime “non avrebbero alcuna utilità nei primi mesi”.
Resta da spiegare perché piangiamo versando lacrime anche quando ridiamo o nei momenti felici, molto emozionanti, come ad esempio la nascita di un figlio. “Forse – secondo Bellieni – perché ogni gioia contiene un dispiacere, cioè il presagio della fine imminente dell’evento lieto. Ma al momento si tratta di speculazioni“.
Piangere è comunque un comportamento umano primario e importante che merita più attenzione.
Che ne pensate uninamme?
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