Conciliare famiglia e lavoro in Italia è sempre più difficile. Le mamme lavoratrici italiane si trovano ad affrontare una lotta quotidiana fatta sfide impossibili, orari di lavoro e di servizi per l’infanzia inconciliabili, scarsi aiuti dallo Stato, discriminazioni sul lavoro.
Come aveva già sottolineato il rapporto di Save The Children, le mamme italiane sono delle vere e proprie equilibriste tra famiglia e lavoro.
L’equilibrismo, però, non basta e molte mamme sono costrette ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei figli. Costi eccessivi per la baby sitter, mancata accoglienza del bambino al nido, papà che non utilizzano i congedi parentali, sono tutti i fattori negativi che incidono sulla scelta delle donne di lasciare il lavoro. Quando non ci si mettono il mobbing o le discriminazioni sui luoghi di lavoro.
Per le donne lavoratrici in Italia è quasi impossibile conciliare famiglia e lavoro. Il peso grava tutto sulle loro spalle a causa:
Troppe donne sono costrette a lasciare il lavoro per occuparsi della famiglia. Soprattutto quando si hanno più figli.
Anche se il tasso di occupazione femminile in Italia è salito al 48,8%, siamo clamorosamente indietro rispetto agli altri Paesi europei, con una media del 62,5%. Lavorano più donne in Italia, ma sono sempre e ancora troppo poche per un Paese sviluppato.
Del resto l’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha scattato una foto impietosa dell’Italia quando ha presentato un rapporto sulle competenze dei lavoratori in Italia: nel nostro Paese le donne sono considerate “assistenti familiari” e svolgono gran parte del lavoro domestico non retribuito. L’Italia è molto indietro nel lavoro femminile.
Questa situazione è stata ben evidenziata dall’Ispettorato nazionale del lavoro che ha denunciato l’elevato numero di dimissioni dal lavoro delle donne con figli. “Nel 2016 il 78% delle richieste di dimissioni ha riguardato le lavoratrici madri“, ha detto Roberta Fabrizi, dirigente della direzione centrale Vigilanza, affari legali e contenzioso dell’Ispettorato del lavoro.
Complessivamente nel 2016 sono state convalidate dalle ex Direzioni territoriali del lavoro 35.003 cessazioni del rapporto di lavoro di madri e padri che lavorano, tra dimissioni e risoluzioni consensuali:
Le mamme lavoratrici che hanno lasciato il lavoro o hanno risolto il contratto di lavoro sono 29.879, di cui:
Di queste 29.879 cessazioni del rapporto di lavoro:
Va precisato che questi dati riguardano i primi tre anni di vita del bambino e non registrano la situazione, ad esempio, di una madre che si dimette quando il figlio ha 5 anni.
La cessazione del rapporto di lavoro è dovuta soprattutto per “la persistenza di una maggiore difficoltà di conciliazione tra vita familiare e lavorativa“. Gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici che si dimettono o risolvono un contratto di lavoro consensualmente hanno un solo figlio o sono in attesa del primo figlio e sono circa il 60% del totale.
Le motivazioni principali stanno nella difficoltà di conciliare il lavoro e le esigenze di cura dei figli che nel 2016 hanno riguardato 13.854 genitori, di cui 13.521 mamme, segnando un incremento di oltre il 44% rispetto al 2015.
L’impossibilità di conciliare le esigenze di cura dei figli con il lavoro è la motivazione principale delle mamme lavoratrici, che rappresenta oltre il 40% di tutte le motivazioni (+9% rispetto al 2015)
La cause che portano ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei figli sono:
Il problema degli asili nido conferma due cose:
Secondo i dati Istat, sui 13.459 asili nido esistenti in Italia
per un totale di 360.314 posti disponibili (163mila nei pubblici), ma solo il 12% dei bambini fino a 2 anni usufruisce del nido pubblico.
Inoltre non sono stati ancora spesi i 229 milioni di euro previsti dal decreto legislativo sul ‘sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni’ del gennaio 2017 e stanziati proprio per i nidi.
La carenza di strutture pubbliche a cui affidare i figli fa sì che le donne siano obbligate ad occuparsene, sacrificando il lavoro. L’Ocse ha rivelato che in questa situazione le donne italiane dedicano al lavoro “non pagato” per la cura dei figli, dei parenti e della casa oltre cinque ore al giorno. A peggiorare le cose ci si mette la scarsa collaborazione di mariti o compagni.
A questo problema si aggiunge anche quello dello scarso utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri. L’Ocse ha sollecitato di “incoraggiare i padri a richiedere più permessi retribuiti per i figli”. Come confermato dall’Inps, sulla base di dati del 2016 (ancora provvisori ma attendibili), ad utilizzare i congedi parentali sono soprattutto le donne. Eppure nuove leggi li hanno introdotti in Italia anche per i padri
Secondo i dati Inps, nel 2016 i 306.701 lavoratori dipendenti del settore privato che hanno beneficiato del congedo parentale sono:
Il forte distacco tra uomini e donne nella richiesta di congedi è una costante. L’unica differenza e anche l’unico segnale positivo viene dal congedo di paternità obbligatorio introdotto nel 2012 dalla legge Fornero: nel 2016 l’hanno chiesto 89.495 papà, mentre nel 2015 erano stati 70.348.
Diverso, invece, il caso del congedo facoltativo di paternità: nel 2015 ne hanno beneficiato solo 9.590 papà, nel 2016 il numero è sceso a 9.128.
Eppure anche uno studio dell’Economist ha confermato che l’utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri, oltre ad aiutare la donna a riprendere il lavoro, fa bene a tutta la famiglia e al rapporto tra i suoi componenti.
Nel frattempo, in Italia, continuano a calare le nascite: dai 486mila nati nel 2015 ai 474mila, del 2016, circa 12mila in meno (dati Istat).
Una situazione che richiede provvedimenti urgenti. Secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri per evitare la perdita o la rinuncia al lavoro delle mamme lavoratrici occorre “affrontare il problema di fondo, cioè la mancanza di potere contrattuale delle donne“. Come riporta il Fatto Quotidiano.
Voi unimamme che ne pensate? Siete d’accordo con le parole di Boeri?
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