Il caso di Harvey Weinstein, il produttore di Hollywood denunciato per gli abusi sessuali nei confronti di numerose attrici, tra cui l’italiana Asia Argento, ha suscitato molto clamore, ma al di là dello scandalo legato al mondo del cinema americano ha squarciato il velo d’ipocrisia ancora presente sulla violenza sulle donne commessa soprattutto dagli uomini di potere.
È così che molte donne comuni, incoraggiate dalle dichiarazioni di attrici e modelle, hanno rivelato sul web le violenze o gli abusi di cui sono state vittime sul lavoro, a scuola o all’università. Abusi commessi da superiori o capi ufficio, ma anche per strada da uomini sconosciuti. Quelle violenze che anche quando non lasciano segni sul corpo feriscono profondamente la dignità, i sentimenti, la psiche, causando un vero e proprio trauma difficile da dimenticare. È così che con l’hashtag #metoo è iniziato sui social il racconto degli abusi subiti. Una narrazione collettiva molto potente, ripresa anche in Italia con l’hashtag #quellavoltache.
Dalla denuncia di alcune modelle e attrici contro il potente produttore cinematografico di Hollywood Harvey Weinstein è nato come una valanga un vero e proprio movimento di denuncia contro la violenza sulle donne. Con l’hashtag #metoo (anche io) negli Stati Uniti e #quellavoltache in Italia, moltissime donne si sono fatte coraggio e hanno raccontato apertamente le violenze e gli abusi di cui sono state vittime: sul lavoro, all’università, da parte di un superiore, capo, professore, collega più in alto, ma anche da parte di sconosciuti in strada.
Violenze che non sempre le donne hanno potuto denunciare, proprio a causa della loro posizione di debolezza o “inferiorità” rispetto a chi aveva abusato di loro. Abusi, ricatti, minacce che spesso hanno dovuto subire in silenzio, tenendo per sé l’amarezza, l’umiliazione e il dolore. Ci sono anche i casi di donne che hanno denunciato ma non sono state credute, oppure la loro denuncia è stata sminuita o sottovalutata, come quelle che si sono sentite chiedere cosa indossassero quando sono state abusate e se avessero assunto degli atteggiamenti provocatori.
A lanciare l’appello per condividere sul web storie di abusi con l’hashtag #metoo è stata l’attrice italoamericana Alyssa Milano. L’attrice ha spiegato che se tutte le donne che hanno subito aggressioni o molestie sessuali avessero raccontato le loro storie di abusi ci si sarebbe resi conto della portata enorme del fenomeno. Così è stato: una vera e propria valanga. Alcune donne hanno perfino riferito di abusi ricevuti quando non avevano ancora 12 anni, ha sottolineato la Milano.
Le molestie sessuali non sono un’eccezione o un episodio che capita una volta ogni tanto, ma è la normalità. Una normalità sconvolgente. Le donne sono come paralizzate quando subiscono violenze e abusi, perché non sempre possono ribellarsi e denunciare, perché molto spesso sono colte loro stesse da incredulità, che le rende incapaci di reagire. Perché spesso per paura o per vergogna si preferisce tacere e nascondere quello che si è subito. Perché spesso è uno shock talmente grande che si preferisce non pensarci più e dimenticare.
Le denunce pubbliche delle attrici, però, sono state come la goccia che ha fatto traboccare il vaso e nonostante gli insulti, i pregiudizi e l’ipocrisia strisciante molte donne hanno trovato il coraggio di parlare apertamente delle violenze subite.
Come ha sottolineato Suzanne Moore nel suo editoriale sul Guardian, questo movimento non è la denuncia contro un uomo, ma contro un sistema. Un sistema in cui finora si è taciuto troppo sugli abusi non solo contro le donne, ma anche contro i bambini. Le violenze domestiche, gli abusi contro donne e bambini, scrive con orrore la giornalista, sono talmente diffusi che la polizia non riesce a perseguirli tutti.
La violenza sulle donne è diventata un tema da prima pagina perché sono coinvolte delle celebrità. Ma proprio questa vicenda e soprattutto il movimento del #metoo può contribuire a sensibilizzare un’opinione pubblica silenziosa e assuefatta, che finora ha preferito voltarsi dall’altra parte. Ecco perché l’hashtag #metoo è un piccolo simbolo che può fare molto, anche all’epoca della presidenza Trump. Le donne finalmente stanno uscendo dalla vergogna e hanno iniziato a tirare fuori la rabbia.
Una situazione che colpisce anche tante donne italiane. Nel nostro Paese sono 7 milioni le donne che nel corso della loro vita hanno subito violenza fisica o psicologica di vario tipo, compresa quella di non essere credute quando si denuncia un abuso. Tanti Weinstein esistono anche in Italia, sono quegli uomini che occupano posizioni di vertice e di potere e che si sentono sicuri e intoccabili in tutto quello che fanno. In Italia gli abusi più spregevoli contro le donne vengono commessi in ufficio. La statistica italiana Linda Laura Sabbadini tratteggia uno scenario inquietante: “Un milione e centomila donne italiane hanno subito ricatti e violenze sul lavoro da parte degli uomini“. Soprattutto ai piani alti. Sono infatti le donne quadri o dirigenti d’azienda quelle ad essere più esposte ai ricatti a sfondo sessuale. La loro carriera, infatti, dipende spesso dal giudizio dei loro capi che sono quasi sempre uomini.
Anche le donne disoccupate, però, sono in una posizione fragile. “Dalle nostre indagini – spiega Laura Sabbadini – risulta che sono maggiormente vittima di approcci sessuali non desiderati o di prevaricazioni le donne disoccupate rispetto a quelle occupate, perché ovviamente più vulnerabili durante i colloqui“.
Per questo anche in Italia è bene tenere alta l’attenzione e anche da noi l’hashtag #quellavoltache ha una valenza importantissima per sensibilizzare sugli abusi e denunciare la violenza sulle donne.
Voi unimamme che ne pensate? Ritenete utile questa campagna di denuncia? Non credete che da questa ondata di denunce si possa davvero arrivare a parlare seriamente di educazione e prevenzione? Noi lo speriamo!
Vi ricordiamo l’articolo: Prevenire la violenza sulle donne insegnando ai bambini ad essere veri uomini
#MeToo la campagna negli Stati Uniti per denunciare gli abusi sulle donne
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