Ormai su Facebook – e non solo – è pieno dei cosiddetti “leoni da tastiera”, ovvero quelli che trincerandosi dietro uno schermo si sentono liberi di poter offendere e insultare senza pietà, esagerando a volte e provocando anche in chi non ha gli strumenti per capirlo, delle profonde ferite emotive.
Non si parla solo di atti di cyberbullismo da parte di ragazzi, ma anche di persone adulte che non sapendo come affrontare un problema non trovano niente di meglio che risolverlo insultando chi secondo loro lo causa. Magari non lo fanno apertamente, con nome e cognome, ma con un profilo falso.
Chi insulta, anche solo a mezzo social, deve essere punito. A dirlo è la Cassazione che ha dato la sentenza relativa al caso di un ex operaio dell’Ilva di Taranto che aveva denigrato il suo capo area.
Per lui la condanna è stata a mille euro di multa (più il risarcimento danni), come era già stato deciso dal Tribunale di Taranto.
Inequivocabili secondo il giudizio, si legge su Il Sole 24 ore, le frasi riportate ai danni del capo, come “Qui comando io!”; “Non si parla di libertà!”, mentre i sottoposti venivano definiti “leccapiedi”. Già in tribunale non si avevano avuto dubbi sull’identità dei messaggi da parte dell’imputato, che tra l’altro aveva fatto riferimento ad una querela da lui subita. Non è stata infatti ritenuta valida la difesa secondo la quale non c’erano prove che fosse veramente l’uomo l’autore dei post (anche perché i commenti sotto i post lo identificavano comunque).
I giudici della Cassazione non hanno avuto dubbi: colpevole. L’account, anche se non riporta infatti nome e cognome, ha un titolare ben preciso, responsabile dei contenuti. La sanzione è stata confermata.
Ecco perché unimamme è importante insegnare ai nostri figli – e a molti adulti a dire la verità – ad utilizzare correttamente i social: le conseguenze non si fermano solo nel mondo virtuale, ma ne hanno molte di più e serie nel mondo reale.
Intanto vi lasciamo con il post che parla della nuova legge sul cyberbullismo.
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