Unimamme, ci lamentiamo spesso del tipo di alimentazione dei bambini di oggi, un nuovo studio prova a indagare più a fondo questo problema.
Secondo una recente ricerca inglese i bambini che mangiano in locali dove vi è cibo da portar via una volta la settimana tendono ad avere grasso extra e fattori di rischio a lungo termine per malattie cardiache.
Ecco come si è svolto lo studio:
“Il frequente consumo di cibo take away può potenzialmente aumentare il rischio di future malattie legate alle coronarie e diabete di tipo 2 incrementando il colesterolo e il grasso del corpo” dichiara Angela Donin, a capo della ricerca.
I punti vendita take away stanno aumentando e più di metà degli adolescenti ammettono di consumare cibo take away almeno 2 volte la settimana.
Negli adulti, consumare regolarmente cibo da asporto è associato con rischi più alti di:
purtroppo ancora poco si conosce circa il consumo da parte dei bambini.
Per giungere alle conclusioni gli scienziati hanno analizzato i dati del Child Heart and Health Study che cercava potenziali fattori di rischio per malattie del cuore e diabete nei pre adolescenti.
I partecipanti includevano:
I bambini hanno risposto a domande circa la loro dieta, incluso quante volte mangiassero cibo da asporto o pasti dal ristorante.
Chi consumava maggior cibo da asporto aveva una maggior percentuale di grasso e di consumo di calorie, mentre le vitamine e l’assunzione di amido erano più bassi, come la vitamina C, ferro, calcio e folati erano più bassi rispetto a bimbi che non mangiavano cibo da asporto.
Sono stati analizzati anche:
Non sono state rilevate diversità per quanto riguarda la pressione del sangue o nell’uso dell’insulina da parte del corpo, ma
tendevano ad essere più alti in chi consumava regolarmente take away.
La dottoressa Sandra Arevalo aggiunge che il cibo di questo tipo ha bassi valori nutritivi, quindi basse vitamine, minerali, fibre e soprattutto proteine.
“Se mangiate in questo modo per un lungo periodo comincerete a vederne le conseguenze sulla salute.”
Unimamme, voi cosa ne pensate di questa ricerca di cui si parla sul BMJ Jounal?
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