Carnevale è quel periodo dell’anno in cui l’ordine delle cose sembra essere scoperchiato: ci si traveste, si diventa qualcun altro, si indossa letteralmente una maschera. Tutto è capovolto e irriso, anche il potere: i carri allegorici spesso rappresentano una parodia o una satira di chi governa noi e il mondo e almeno per una volta i ruoli vengono capovolti. Vediamo allora di conoscere più da vicino questa festa di origini antiche che precede – almeno per il mondo cristiano – i 40 giorni di Quaresima e la celebrazione della Pasqua.
Il termine “carnevale” risale dal latino ed è composto da due parole “carne” e “vale”, cioè togliere, perché questi sono gli ultimi giorni in cui si può gozzovigliare e mangiare carne prima del digiuno della Quaresima in cui si deve – almeno in teoria – mangiare “di magro”.
Si tratta di una festa che trova la sua fondazione in tempi molto antichi, addirittura tra i Romani: per gli storici i Saturnali erano da collegare al Carnevale, anche se in realtà si trattava più di celebrazioni per il nuovo anno, che cadeva proprio a febbraio per il calendario romano. Più simili al Carnevale come lo intendiamo noi erano invece le dionisiache, in cui l’ordine delle cose veniva sovvertito e le regole sociali eliminate per qualche giorno: una specie di caos normalizzato.
Il Carnevale così come lo conosciamo noi però ha origini cristiane. Il Carnevale viene immediatamente prima della Quaresima, periodo di pentimento che precede la Pasqua. Nel Medioevo questa festa ha infatti assunto un nuovo significato: se prima i festeggiamenti culminavano con la bruciatura di un fantoccio che significava i mali dell’anno (quindi il rogo significava un nuovo inizio), poi – anche per l’intervento della Chiesa – questo tipo di manifestazioni è stata ridimensionata. Nel 1500 cominciano ad affermarsi le maschere famose che conosciamo oggi, come Arlecchino o Pulcinella.
Il giovedì “grasso” è chiamato in questo modo perché è il giorno dell’inizio dei festeggiamenti del Carnevale vero e proprio e tradizionalmente era la giornata in cui si mangiavano gli avanzi che si avevano in casa prima della Quaresima. Stesso discorso per il “martedì grasso”, l’ultimo giorno in cui è possibile mangiare carne e che conclude la festa visto che anticipa il mercoledì delle ceneri.
Nel mondo queste giornate prendono diversi nomi, tra cui per esempio nel mondo anglosassone il Pancake Day è il nostro martedì grasso: anche per gli USA si tratta di un modo per “liberarsi” dei cibi grassi derivanti da latte, zucchero, burro e uova. Secondo la leggenda questa festa è nata perché una donna in ritardo per la messa mentre stava preparando in pancake, è uscita di casa con ancora la padella in mano e in grembiule, finendo di preparare le frittelle per strada.
In Italia abbiamo una lunga e importante tradizione di carnevali antichi, conosciuti in tutto il mondo. Il più famoso è sicuramente quello di Venezia, ma anche Viareggio attira visitatori da ogni dove. Rinomato è anche il Carnevale di Ivrea, con la sua storica battaglia delle arance.
Le origini del Carnevale sono molto antiche. Si hanno ricordi delle festività del Carnevale fin dal 1094, sotto il dogato di Vitale Falier. Il primo documento ufficiale risale in realtà al 1296 quando il Senato della Repubblica ha dichiarato il Carnevale una festa pubblica. Se – come dicevano gli antichi – Semel in anno licet insanire” (“Una volta all’anno è lecito impazzire”) quello di Venezia è sicuramente la festività in cui questo avviene. All’inizio durava molti mesi: addirittura da ottobre fino alla Quaresima, mentre oggi dura i 10 giorni che precedono appunto i 40 giorni di “penitenza”.
Nel tempo il Carnevale veneziano – con le sue maschere originali – ha subito diverse trasformazioni, subendo però una battuta d’arresto dopo la caduta della Repubblica di Venezia perché l’occupazione austro germanica non vedeva di buon occhio i festeggiamenti. La tradizione era però rimasta nelle isole di Burano e Murano; solo nel 1979 è risorto il Carnevale come lo conosciamo ora: 11 giorni di eventi dove le maschere la fanno da padrone.
Anche Viareggio è uno dei Carnevali più conosciuti. Rispetto a quello veneziano ha origini più recenti: la prima sfilata dei famosi carri allegorici si tenne nella storica Via Regia, nella città vecchia, solo alla fine del 1800, in particolare nel 1873. L’idea è venuta ad un gruppo di giovani altolocati che frequentavano il Caffé del Casinò.
Dopo una pausa dovuta alla Prima Guerra Mondiale, tra il 1923 e il 1925 sono state introdotte delle novità che hanno permesso di conoscere il Carnevale di oggi: il movimento – il primo fu quello degli occhi – e la cartapesta, materiale leggero e flessibile che permette di costruire maschere anche molto grandi.
Nel 1930 Uberto Bonetti, pittore e grafico futurista, ha creato Burlamacco, la maschera simbolo di Viareggio, che, nel manifesto del 1931, è apparso insieme ad Ondina, una bagnante simbolo della stagione estiva. Dopo una pausa per il secondo conflitto mondiale, il Carnevale è rinato nel 1946, diventando con il tempo un grosso evento mediatico che attira anche turisti da tutto il mondo.
Nel 2001 è stata inaugurata la nuova Cittadella del Carnevale, un complesso architettonico che ha l’intenzione di promuovere e conservare la tradizione di questa festa, che – per come è giunta ai nostri giorni – continua ad essere fonte di attenzione e curiosità, soprattutto per il suo burlarsi del Potere.
Il Carnevale di Ivrea è uno dei più antichi, visto che le sue origini si possono ritrovare addirittura alla fine del 1700. La protagonista di questa festa è la Mugnaia, simbolo di libertà e vera e propria eroina del Carnevale fin dalla sua prima apparizione nel 1858. Un momento molto importante è infatti quello del corteo storico, formato da personaggi di epoche differenti in cui compaiono la Mugnaia, il Generale – di origine napoleonica – lo Stato Maggiore e il Podestà.
Famoso anche per la Battaglia delle Arance, per tre pomeriggi – da Domenica a Martedì Grasso – le squadre a piedi combattono contro gli aranceri sui carri, protetti da maschere di cuoio. Chi poi non indossa il Berretto Frigio dal giovedì grasso può essere colpito dagli aranceri nelle zone di battaglia.
Questo periodo dell’anno ha i propri dolci, che a seconda della regione d’Italia in cui vengono prodotti, hanno diversi nomi: per esempio le chiacchiere – i tradizionali dolci fritti o al forno e spolverizzati di zucchero a velo – si chiamano bugie in Piemonte e cenci in Toscana. Ci sono poi delle derive più locali, come per esempio la variante Cròstoli o Grostoli, nel Polesine, mentre mentre nel Molise i Cunchielli. In provincia di Mantova e di Brescia, si chiamano invece Lattughe e in Sardegna Maraviglias, o Meraviglie.
Questi nomi così diversi sono dovuti all’origine molto antica della ricetta. Questa – con il nome di frictilia – è stata inventata dai Romani e se trovano tracce nei Baccanali o Saturnali. Perché “chiacchiere”? Perché un’altra leggenda vuole che la Regina Margherita di Savoia avesse chiesto al cuoco di corte di inventarsi un dolce che potesse allietare lei e i suoi commensali durante la conversazione: da qui appunto il nome.
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