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L’ignoranza in Italia dilaga: perché non investiamo in conoscenza?

Published by
Maria Sole Bosaia

ignoranza in Italia – Unimamme, oggi vi parliamo del Rapporto sulla conoscenza 2018, redatto dall’Istat per quanto riguarda economia e società.

Il problema dell’ignoranza in Italia analizzato in modo scientifico

Dal rapporto emerge chiaramente una verità, magari amara, ma oggettiva, che l’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo, forse l’unico tra le economie sviluppate, che non considera il sapere e la conoscenza come valore aggiunto.

Indicativo è anche il comportamento delle istituzioni che, durante la crisi economica di questi ultimi anni, hanno deciso di effettuare pesanti tagli all’istruzione: il 10%, contro una media di tagli del 2%, di quanto non l’abbiano fatto invece per tutti gli altri capitoli di spesa.

Gli investimenti vanno altrove, ma alla ricerca e alla formazione restano solo gli scarti.

Il titolo di studio conta per chi ce l’ha?

Dall’indagine Istat emerge che siamo ultimi, in Europa, per quanto riguarda la percentuale di popolazione con in mano un titolo di studio terziario, quindi una laurea.

I laureati, per intenderci, sono il meno del 20% della popolazione.

Siamo persino più indietro di Grecia e Romania.

Per fare una comparazione, In Gran Bretagna e Usa alla laurea arriva il 46% delle popolazione.

Un altro aspetto importante e di cui sono perfettamente consapevoli i laureati in tempi di crisi economica è che in Italia la loro laurea non ha valore, nel senso che il nostro sistema produttivo non sa come impiegarli.

Nel caso fortuito di assunzione i loro ruoli sono demansionati.

Si sottolinea che l’Italia è, di nuovo, l’unico Paese ad aver visto decrescere, negli ultimi 10 anni, gli occupati in posti di alta specializzazione.

Qui le professioni a media alta qualifica non arrivano a coprire il 40% dei posti disponibili.

Il settore della scienza e della tecnologia: come siamo messi?

Anche per quanto riguarda le risorse impiegate nella scienza e nella tecnologia la situazione è funerea.

Siamo al terzultimo posto, prima di Slovacchia a Romania. Le scuole italiane non sono in grado di formare addetti in ambito tecnologico né di orientare gli studenti a intraprendere percorsi formativi idonei.

Questo però non viene visto come un problema dagli apparati politici, nelle loro incomprensibili prospettive della realtà socio – lavorativa sbandierano nei programma elettorali che la scuola non deve preparare al lavoro.

Sarà forse anche per questo motivo che abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa?

Ma andiamo avanti.

La scuola è ancora vista come il mezzo per realizzarsi?

Nel frattempo la scuola ha drammaticamente smesso di essere un ascensore sociale.

Siamo in perdita nelle famiglie con più laureati, se i genitori lo sono, inoltre siamo anche il Paese con meno studenti laureati se i genitori non lo sono stati.

Da tutto ciò si deduce che i ragazzi che si laureano da noi appartengono a uno strato sociale che era già benestante.

Unimamme, cosa ne pensate di questo tragico rapporto dell‘Istat?

Noi vi lasciamo con i fondi stanziati dalla comunità europea per combattere la disoccupazione giovanile e uno studio che mostra come investendo sui bambini si evita la disoccupazione giovanile.

 

 

Maria Sole Bosaia

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