Licenziare una donna in gravidanza è legittimo, la sentenza shock. Une sentenza della Corte di Giustizia europea che sta facendo discutere.
Ci siamo già occupati di donne e lavoro e in modo particolare di mamme e lavoro, sottolineando le difficoltà e gli ostacoli che si trovano ad affrontare le mamme lavoratrici, le discriminazioni, il mobbing, i ricatti, le dimissioni in bianco e le minacce di licenziamento. Una situazione molto difficile in cui si trovano le donne italiane, che non ha caso un rapporto di Save The Children ha definito equilibriste tra famiglia e lavoro.
Tutto questo accade in un Paese come l’Italia in cui le donne che lavorano sono la metà delle donne in età attiva, con percentuali di occupazione da Paese sottosviluppato e ben inferiori a quelle della media dell’Unione europea.
Il tasso di occupazione femminile in Italia è sotto il 50%, ben al di sotto della media europea, sia di quella dei Paesi dell’Euro, che dell’intera Unione a 28 Paesi.
In questa situazione già complicata, mancano vere politiche attive per favorire l’occupazione femminile. Al contrario i licenziamenti sono sempre più facili, per via del lavoro precario e delle nuove norme che agevolano i licenziamenti. Senza parlare della odiosa pratica delle dimissioni in bianco (firmate dalla lavoratrice quando viene assunta, per essere poi utilizzate quando fa comodo al datore di lavoro, di solito quando la donna è incinta) che sono assolutamente illegittime.
Ora una nuova sentenza della Corte di Giustizia europea legittima il licenziamento delle donne in gravidanza, anche se in situazioni particolari. Una sentenza che sta facendo molto discutere.
Secondo la sentenza della Corte di giustizia europea, nella causa C 103/2016, una legge nazionale che consente il licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo non è contraria al diritto comunitario; fermo restando che ciascuno Stato membro è libero di stabilire forme di tutele più forti per le dipendenti madri e gestanti.
In caso di licenziamento collettivo dei lavoratori di una azienda, si può dunque licenziare una donna in gravidanza o in maternità.
Il caso deciso dalla Corte di Giustizia europea riguarda una lavoratrice spagnola incinta che era stata licenziata da una banca nell’ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale. Un licenziamento consentito dalla legge spagnola, che vieta il licenziamento della donna incinta eccetto nei casi in cui non dipenda dalla suo stato di maternità.
Un giudice spagnolo però lo ha ritenuto comunque illegittimo, in quanto sarebbe in contrasto con la direttiva europea 92/85 che contiene misure per tutelare e promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Per questo motivo ha fatto ricordo alla Corte di giustizia europea.
La Corte, tuttavia, ha espresso una valutazione diversa, affermando che la direttiva non tutela le donne incinte o in maternità contro qualunque licenziamento, ma solo contro quei licenziamenti che siano collegati al loro stato personale. Nel caso della lavoratrice spagnola, infatti, il licenziamento è dipeso da cause oggettive legate all’azienda e non dalla gravidanza o dalla condizione personale della donna.
Infatti, il divieto di licenziamento previsto dalla direttiva europea 92/85 ha l’obiettivo di prevenire gli effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici in gravidanza, puerpere o in allattamento, che possono esse causati da un licenziamento per motivi connessi al loro stato personale. Per prevenire questa situazione generalmente le legislazioni dei Paesi dell’Unione europea hanno introdotto divieti e sanzioni contro il licenziamento delle donne in gravidanza o in maternità a causa del loro stato, in ottemperanza alla direttiva.
La direttiva, però, non vieta in generale il licenziamento nel periodo che va dall’inizio della gravidanza fino al termine del congedo di maternità, se l’atto non dipenda dallo stato di gravidanza della lavoratrice, ma da motivi tecnici o economici legati all’azienda. In quest’ultimo caso, comunque, il datore di lavoro dovrà indicare specificamente per iscritto i motivi oggettivi, tecnici, economici, legati all’organizzazione o produzione dell’azienda che potranno dare luogo a licenziamento. Motivi che vanno anche indicati espressamente alla lavoratrice incinta. Come spiega nel suo approfondimento sull’argomento lo Studio Cataldi.
E in Italia? Nel nostro Paese le norme di legge non consentono di licenziare per questi motivi la lavoratrice in maternità, dall’inizio della gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, a meno che non chiuda l’azienda.
In Italia siamo più tutelate, ma che ne pensate unimamme della sentenza della Corte europea?
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