Il filosofo Umberto Galimberti sostiene che se i genitori intervenissero meno nella vita scolastica dei figli, tutti ne ricaverebbero giovamento.
La scuola è allo sbando? Non c’è più fiducia nelle istituzioni? Secondo il filosofo Umberto Galimberti molto è dovuto a due motivi: gli insegnanti non più appassionati e la presenza troppo incombente dei genitori, non interessati a quanto imparano i figli, ma solo alla loro promozione.
La qualità dei docenti – come riporta il sito orizzontescuola.it – è un punto dolente secondo l’intellettuale; la loro capacità di essere appassionati su un argomento e di trasmetterlo agli studenti è fondamentale. Ricordate il professor John Keating interpretato da Robin Williams ne “L’attimo Fuggente?” Quanti di noi avrebbero voluto un insegnante così, non solo interessato a compiti in classe, a seguire il programma, ma a far attecchire nei giovani un interesse vivo? Io sì.
“Occorrono insegnanti affascinanti ma non è così. Oggi il ragazzo si deve ritenere fortunato se su nove docenti ne ha due carismatici, e questo è un grosso problema. Prima di essere mandati in cattedra, gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità, per comprendere se hanno la passione dell’insegnamento”. Eppure, anche se i genitori non sempre sono d’accordo con il metodo degli insegnanti, bisogna difenderli di fronte agli occhi dei figli, a partire dalle scuole elementari.
“Quando i bambini vanno a scuola sviluppano nuovi binari di affettività, soprattutto quello bambino-maestra” Se i genitori parlano male delle maestre devono sapere che stanno violentando la sfera dell’affettività del bambino. Una delle prime manifestazioni della schizofrenia, che notiamo alla fine dell’adolescenza, è la scissione dell’affettività. Non diventano tutti schizofrenici ma certo questa cosa non contribuisce alla sfera armonica dell’affettività. Se uno parla male dell’altro, poi il bambino non ci si fida di nessuno, ma poi non ci meravigliamo che da più grandi combina dei guai e lo troviamo a lanciare sassi dai cavalcavia o a fare il bullo”.
Mai parlare male degli insegnanti davanti ai figli, magari avendo delle reazioni scomposte e spropositate, con calci e pugni: i docenti devono trovare la famiglia dalla loro parte. I genitori non dovrebbero proprio mettere bocca nel percorso scolastico: “espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge”. Recentemente infatti due genitori hanno appunto fatto ricorso perché il figlio meritava tutti 10 in pagella.
Altro problema è che i giovani vengono accompagnati troppo spesso dai genitori in periodi della vita in cui dovrebbero fare da soli, con il risultato che l’adolescenza si prolunga fino all’età adulta e che non abbiano un’idea di futuro, data anche la società che offre precarietà: “E allora il giovane si chiede: perché devo stare al mondo? Lo scorso anno ci sono stati cinquecento suicidi tra gli studenti”.
E’ importante inoltre che i giovani vengano visti per quello che sono non solo nel momento dell’adolescenza, quando avvengono trasformazioni fisiche importanti, ma fin dalla nascita: Nei primi sei anni di vita, dice Freud, si formano le modalità cognitive, cioè il modo di conoscere il mondo, modalità di tipo logico razionale, estetico, metafisico, teologico, insieme alle modalità emotive: come sento gli eventi del mondo, che risonanza emotiva hanno dentro di me? Oggi si formano come capita. Il padre e la madre lavorano e tornano a casa tardi, il bambino è stato con la baby sitter, davanti alla televisione o allo smartphone”.
L’assenza emotiva ed educativa dei genitori è un argomento su cui bisogna riflettere: “Se i genitori non hanno tempo di vedere ciò che fanno i figli, i figli vengono su come possono. Bambini soli con cartoni animati e smartphone? Niente di male. Ma si sappia che in questi casi le modalità emotive si formano a caso, cioè come come capita. Le neuroscienze oggi ci dicono che si formano già nei primi tre anni, non nei primi sei. I bambini non sanno di progredire, sono i genitori a vederli progredire. E si badi bene che le parole dei genitori sono seguite dai figli fino a che questi hanno dodici, massimo tredici anni, poi con la scoperta sessuale le parole non servono più. O si parla prima, molto prima, o tutto è perso, non le seguono più. Bisogna parlare molto prima se vogliamo tenere la porta aperta. La parola è fondamentale nei primi anni”.
Oggi poi si tende a riempire i bambini di cose da fare per non farli annoiare, ma la noia è fondamentale: “I bambini che si annoiano non sono un male, è semmai la precondizione per crescere. I bambini invece sono sottoposti a una serie impressionante di stimoli, danza, calcio, inglese… non ce la si fa. Non-ce-la-si-fa! Quando hai iperstimoli succede che o vai in angoscia o abbassi la soglia degli stimoli e diventi psicoapatico. Per non esporsi all’angoscia, i bambini infatti si autolimitano nella percezione degli eventi del mondo”.
E in ultimo fa un appello ai genitori, un appello che in realtà rivolgono loro gli stessi figli scrivendo delle lettere a Galimberti dal quale è stato tratto il libro La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo”, edito da Feltrinelli: “Per favore, cari adulti, non ci indicate il denaro e l’immagine sociale come unici obiettivi della nostra esistenza”.
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