Un bambino in una valigia potrebbe essere un’immagine simpatica se non provenisse da un Paese martoriato da una guerra assurda.
Non conosciamo il nome del piccolo che con la sua testolina emerge da questa vecchia valigia, trasportata presumibilmente dal papà, ma sappiamo solo che lui è uno dei 40 mila siriani costretti a fuggire dalla cittadina di Hamouria nel Ghouta Orientale dove, solo qualche tempo fa vi avevamo parlato di nuovi bombardamenti chimici di cui avevano fatto le spese i civili.
Quest’area a est di Damasco, di recente, è stata soggetta a un nuovo, violentissimo bombardamento delle forze lealiste.
Nel corso delle ultime 3 settimane di bombardamenti sui civili sono morte circa 1500 persone, altri 100 civili sono deceduti per lo stesso motivo anche venerdì scorso.
Attualmente le truppe di Bashar stanno consentendo ai civili sopravvissuti di fuggire e pare che nelle ultime ore siano riusciti a partire 20 mila persone.
Nelle zone di guerra manca l’acqua, i viveri, le medicine stentano ad arrivare.
Dal 18 febbraio scorso, quando il Presidente Bashar Al Assad ha cercato di riconquistare la zona gestita dai ribelli sono morte circa 800 persone, tutti civili.
La comunità internazionale ha più volte inoltrato appelli per cessare il fuoco, inutilmente.
L’aviazione russa, insieme a quella siriana non risparmia nemmeno le cliniche di fortuna.
Il bambino nella valigia però non è il primo piccino che richiama l’opinione pubblica internazionale, in passato vi avevamo parlato di Aylan, un bambino trovato morto su una spiaggia greca, qualche anno fa.
Successivamente ad impressionarci era stata l’immagine di Omran, un piccino miracolosamente sopravvissuto a un bombardamento aereo e ritrovato ricoperto di polvere e cenere.
Purtroppo sappiamo che queste foto, per quanto forti, verranno presto dimenticate.
Nei 7 anni di feroce guerra 12 milioni di siriani sono stati costretti a lasciare le loro abitazioni e a diventare profughi. Di questi, 5 milioni e mezzo hanno raggiunto Paesi esteri, mentre gli altri sono sfollati interni.
Magari sarebbe bene rifletterci qualche secondo e pensare che nessuno di loro avrebbe mai lasciato il suo Paese, i suoi affetti, ecc.. per affrontare un viaggio rischiosissimo e approdare tra mille incertezze in un Paese straniero dove, a volte, l’essere profugo, è visto con ostilità e paura.
Unimamme, cosa ne pensate di questo scatto pubblicato sull’account Twitter dell’UNICEF?
Immaginate mai che questi bambini traumatizzati, mutilati, che muoiono barbaramente per una guerra che non hanno scelto, potrebbero essere i vostri?
Cosa fareste allora?
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